Mercantia e Griseldascrittura invadono l’estate certaldese di arte e cultura. Al di là dello specchio, esposizione delle opere di Andrea Chiarantini, Kiki Franceschi e Marlene Mangold, è un ponte che le unisce. Griselda è un’associazione di volontariato culturale che promuove e favorisce la formazione di una cultura di relazione, intesa come espressione creativa e approfondimento culturale. Sono ormai decennali i corsi propedeutici di scrittura tenuti ogni anno, nel suggestivo centro storico medioevale di Certaldo nell’ultima settimana di agosto, da poeti e scrittori di fama ed esperienza internazionale. Lo spirito del Grande aleggia fra le antiche mura che videro Giovanni Boccaccio scrivere le sue opere. Pochi sono capaci di carpirlo, ma per molti l’incanto può farsi poesia. Scrittura e letteratura però non possono fare a meno di altre arti per esprimere a pieno la complessità del nostro contemporaneo; ecco quindi che ai confini preferiamo gli intrecci, le ibridazioni capaci di farsi feconde di stimoli e arricchimenti. In questo contesto Griselda propone ogni anno una mostra di arte contemporanea nello spazio del Palazzo Pretorio. Questa volta è il tema sempre affascinante della fiaba il filo conduttore: una serie di opere ed eventi per invitare lo spettatore al viaggio creativo nel mondo dell’immaginario e del fantastico, dove la parola-segno-opera si fa isola di inediti significati.
Introduzione al catalogo
Segni e di-segni
Andrea Chiarantini, Kiki Franceschi e Marlene Mangold ripercorrono con le loro opere i temi della Rassegna del Teatro di Strada cari a MERCANTIA, luogo-non-luogo della magia, dell’invenzione, di un divertimento mai banale, ma sorprendente. Tutto può succedere per chi intende la vita come sogno e l’opera d’arte come divenire. “La letteratura, come tutta l’arte, è la dimostrazione che la vita non basta” dice Fernando Pessoa e ha ragione. La letteratura e l’arte concedono qualcosa di più rispetto alla natura: uscire da noi stessi per diventare altri conservando e migliorando il cuore dell’identità. Con una continua e feconda ibridazione tra sogno e realtà, perché la vida es sueno (con la tilde, accento spagnolo), insinuva Calderon de la Barca e può diventare opera d’arte: “che lo sappiamo o no, che ci piaccia o no” afferma con decisione Zygmunt Bauman[1]. Le opere di Andrea Chiarantini, Kiki Franceschi e Marlene Mangold ci conducono in un viaggio-sogno in cui la parola si fa segno che traccia forme, di-segno che narra, capace di uscire dalle prigioni dei confini dei significati e andarsene per i fatti suoi.
Kiki Franceschi ricorda “Oggi grazie alle esperienze dei futuristi, dei lettristi, degli inisti, dei poeti visivi, possediamo una nuova lingua poetica, viviamo una nuova fase d’ampiezza del linguaggio e la visività della parola scritta è parte dello statuto letterario. E’ insomma nata la terza letteratura, come l’ha definita Edoardo Sanguineti. Il poeta non è più il cantore del lamento, dei luoghi comuni, degli amori infelici, il poeta mira alla sintesi, ha ereditato dai lettristi e dai futuristi il fonema, l’onomatopeia astratta; il rapporto fra arte visiva e poesia è sempre più stretto, il colore delle vocali appare sui quadri, il movimento, la forma e la disposizione tipografica sono significanti poetici e anche il più tradizionale dei poeti lo sa.” Ed è proprio il segno-sogno a condurci nel mondo fiabico.
Gli animali di Marlene nascono dalle stoffe come cavoli, veri come sono vere tutte le fiabe, e non importa se saranno destinati o no a “vivere felici e contenti”. Vivono nelle forme e nei colori allusivi di un mondo senza confini né mete, se non quella della relazione con l’occhio che guarda, mira e ammira, abbandonandosi alle magie dell’evocazione. E’ lo specchio che rimira e specchia l’inconscio, si fa speco, caverna che attrae ed esplora nella sua seducente speciosità.
Niente è più vero della corposità architettonica delle opere di Andrea Chiarantini, ma la sua materica si fa linearità attraente, sinuosa e spadiforme in un disuguale metodico, proprio come il procedere di tutte le fiabe tradizionali: il riccio del nascondimento appare pretesto per la sorpresa e lo sguardo è catturato dall’eleganza della forma allusiva.
Andrea, Kiki e Marlene narrano un mondo che non c’è e lo narrano con segni e di-segni diversi, comunque densi di amore. Perché l’amore si può paragonare alla “creazione di un’opera d’arte (…) Anch’essa richiede all’artista immaginazione, grande concentrazione, la combinazione di tutti gli aspetti della personalità umana, spirito di sacrificio e libertà assoluta. Ma soprattutto, come la creazione artistica, l’amore richiede azione, ossia attività e condotta non routinarie, costante attenzione alla natura intrinseca del proprio partner, sforzo per comprenderne l’individualità e rispetto. Inoltre richiede tolleranza, la consapevolezza che non si possono imporre i propri punti di vista e ideali al compagno o alla compagna, né ostacolarne la felicità.”[2]
Ecco che lo specchio-psiche costringe a riflettere senza specificare, specioso e seducente. Ma da quale parte dello specchio è meglio stare? Miraggio o realtà, dobbiamo scrutare o contemplare? A volte è più bello un verso sul tramonto di uno stesso tramonto, perché è di un poeta: sa cogliere il magico che non si può mai spiegare e sa riproporlo in forma allusiva. Con fascinazione. E allora eccoci tutti insieme nei seminari di Griseldascrittura a creare, discutere e approfondire senza accontentarsi mai; insieme, per incrociare prospettive diverse e diversi modelli di pensiero. Parlare con una voce sola spesso diventa un parlarsi fra sordi: artisti, letterati, filosofi, sociologi eccetera, racchiusi in un solipsismo di casta, talvolta formano isole di individui. Griselda ha sempre auspicato con i suoi progetti e le sue iniziative la realizzazione di un cum, un noi considerato come dimensione relazionale gravida di futuro. Alterità che si intrecciano e insieme compiono un viaggio. L’importante è non accontentarsi dell’hic et nunc, del quotidiano, della così detta normalità. L’importante è non cadere nel declino etico di un Italia tutta schiacciata sul presente, senza passato né futuro. Anche l’immaginario collettivo ha bisogno di nuovi pensieri. Come il singolo ha bisogno di realizzare la sua singolarità, nella dignità della sua differenza e arricchirsi nei rapporti con gli altri.
Molti si lasciano impastare in identità massificate, libere dal pensiero di avere pensieri. Ma c’è qualcuno che afferma desiderio di distinzione, di non massificazione. Come essere presenti nel proprio tempo, senza subire il pensiero dominante? Come vigilare contro la conformità e uscire dalla cecità indotta? Ed ecco che l’arte, mai stanziale ma nomade, diventa una grande opportunità: si fa vento che soffia sull’immaginazione e ci spinge ad attraversare l’animo umano verso il territorio del possibile, verso il regno della libertà. Ma esiste? Non lo sappiamo, per questo è importante non fermarsi. L’arte è sempre mercuriale e imprevedibile. E’ un tentativo di riannodare i fili fra umano e divino per dare corpo a un sogno, ma è un viaggio particolare, quello libero e imprevedibile del vento, alla ricerca dell’insostenibile leggerezza dell’utopia.
Gli artisti viaggiano verso uno spazio non ancora ben conosciuto: Ulissi e Penelopi nello stesso tempo se ne vanno alla continua ricerca di rendere esprimibile l’inesprimibile: viaggiano intorno alle parole, ai segni, alla materia, circumnavigano pre-testi, per creare nuovi testi. Nell’esplorare nuovi sensi e inedite sfumature, compongono sorprendenti evocazioni. Creano fiabe, come baci per risvegliare un mondo che si è addormentato cullandosi nella superficialità urlante del senso comune, indossano stivali delle sette leghe o scarpine di cristallo, magari si distraggono e ne perdono una, si fanno rospi in attesa di baci o principesse innamorate, poi ritrovano se stessi più forti di prima e pronti ad altre avventure, a quel volontario perdersi che fa scrivere a Baudelaire
Ma i veri viaggiatori partono per partire;
cuori leggeri, s’allontanano
come palloni,
al loro destino mai cercano di sfuggire
e, senza sapere perché, sempre dicono: Andiamo!
E l’anima questo veliero che cerca la sua Icaria dove vuole andare?
Non importa dove! Non importa dove! Purché sia fuori da questo mondo!
L’importante è andare, superare i confini del mondo, forgiando mille mondi possibili con mille storie possibili. Anzi mille e una. Come Shaerazade. Perché nell’arte, come nel sogno, tutte le combinazioni sono possibili; è un non luogo in cui si incontrano sensibilità e intelletto. E’ un continuo indugio nelle forme del pensiero. Decostruzione del consueto per reinventare. La creazione appartiene alla vita interiore, all’intimo più intimo, dove corpo e anima non sono ancora divisi. Pavel Florenskij, teorizza il “valore magico della parola”[3]. La definisce un “avvenimento della nostra vita interiore”, il “termine intermedio fra mondo esterno e interno”, quindi “la parola è magica ed è mistica”[4]. “Il fonema è la struttura ossea della parola, ciò che vi è di più rigido e che è meno necessario, pur essendo nello stesso tempo indispensabile per la vita della parola. Il morfema è il corpo della parola e il semema la sua anima”[5]. Compito dello scrittore è proprio questa arte maieutica dell’estrazione ed espressione dell’essenza magica e mistica della parola, la sua anima. O forse si scrive per gioco. Ed è un gioco che somiglia molto a quello dei bambini, di una terribile serietà. Perché è un mettere tutto in gioco. Come il sorriso della Gioconda, ineffabile, sempre pronto a ricordarci il limite della conoscenza umana, l’imprescrutabilità dell’universo. Ed è come se dicesse: ti è stato concesso di conoscere fino a qui, non puoi andare oltre. Ma questo oltre è proprio il terreno dell’arte e della poesia. Sono in tutti noi non scritte, mille storie a brandelli, archetipi del nostro vissuto, ai poeti e agli artisti mettere nero su bianco, colore su colore, forma su forma. “Singolare cosmonauta, eccomi attraversare mondi e mondi, senza fermarmi a nessuno d’essi: il candore della carta, la forma dei segni, la figura delle parole, le regole della lingua, le esigenze del messaggio, la profusione dei sensi che si connettono. E uno stesso infinito viaggio nell’altra direzione, dalla parte di chi scrive: dalla parola scritta potrei risalire alla mano, alla nervatura, al sangue, alla pulsione, alla cultura del corpo, al suo godimento. Da una parte e dall’altra, la scrittura-lettura si dilata all’infinito, impegna l’uomo nella sua incertezza, corpo e storia; è un atto panico, del quale la sola definizione certa è che non potrà fermarsi da nessuna parte”[6]. Ma questo continuo andare a volte è sorprendente e ci riporta la passato, alle parti migliori del nostro passato: “… i diversi aspetti dell’umanesimo sono tutti astrattamente connessi: il ritmo è simmetria della poesia e della musica, la simmetria è il ritmo della pittura, la poesia è musica del linguaggio, la musica è pittura animata nel tempo, la pittura e l’architettura sono musica pietrificata nello spazio. E, soprattutto, la matematica è poesia dell’universo, pittura astratta del mondo, musica delle sfere: espressione, cioè, di ciò che i Greci chiamavano cosmos o logos, e che altro non è se non l’ordine razionale delle cose percepito attraverso il pensiero astratto.” [7] Ecco quindi un’esposizione di opere che sono storie reali e metaforiche, nuove nel loro mirabile contatto con l’arcaico. Incantesimi che provocano incantamenti.
[1]Z. Bauman, L’arte della vita, Laterza, Bari 2009.
[2]I. Klìma, Between Security and Insecurity, Thames and Hudson, London 1999, pp. 60-62.
[3]P. Florenskij, Il valore magico della parola, Medusa, Milano 2003.
[4]P. Florenskij, op. cit. p. 51.
[5]P. Florenskij, op. cit. p. 82.
[6]R. Barthes, Il piacere del testo,
[7]P. Odifreddi, Penna, pennello e bacchetta: le tre invidie di un matematico