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Dopo i due eventi, Borse nere: vento forte, del luglio 2007 all’Isola di Capraia, e Borse nere come rondini, del maggio di questo anno alla Biblioteca di Scandicci, ecco Borse nere come nidi.
Lo spazio scelto non è casuale: l’Istituto degli Innocenti è luogo di accoglienza e di cura, di arte e di incontro, di prestigiosa antichità aperto alla contemporaneità.
Qui si incontreranno solo 39 artisti, poeti, scrittori, architetti e fotografi, tutti con le loro borse nere, in cui ciascuno avrà riposto il proprio nido di segreti, ricordi e desideri, la parte più intima del sé, per mostrarlo agli altri.
Non isole di individui, ma incontri di persone.
Giocare con il vento e con l’acqua, catturare profumi e atmosfere, metterli in forma di immagini o di parole, costruire piccole madelaines di ricordi o sogni da trasformare in progetti. Tutto si può custodire: anche rabbie, paure e nostalgie. E la natura può essere un grande serbatoio di stimoli con le sue memorie di mare e di terra. Come dimostra tutta l’opera di Elena Salvini Pierallini.
La borsa si fa così rifugio, nascondiglio atto a nascondere, ma anche a conservare, a covare l’io bambino che non vuol morire, ma convivere con l’adultità alimentandola con il gusto del gioco.
Chi ha la borsa ben gonfia è invitato infatti a non tenersela ben stretta ma a farne borsanera senza compravendita, borsa dell’incontro. Borsa che può diventare sacca da saccheggiare, sporta da esportare, incavo da scavare.
ESP affascina, raccoglie e invita a andare, ciascuno con il suo fardello.
L’importante è superare la staticità e andare.
Andare dove? “Non lo so, ma dobbiamo andare”, diceva Kerouac.
Insomma andare da tutte le parti, ampliando il proprio “compasso dell’orizzonte” come invita Remo Bodei.
Staccarsi da qualcosa con cui si ha consuetudine, abbandonare la routine per andarsene ad venturam, spinti dalla curiosità e dal desiderio di scoperta.
D’altra parte il vero viaggiatore cerca vie senza mete e mete senza vie, sente il viaggio come un volontario perdersi che fa scrivere a Baudelaire:

Ma i veri viaggiatori partono per partire;
cuori leggeri, s’allontanano
come palloni,
al loro destino mai cercano di sfuggire
e, senza sapere perché, sempre dicono: Andiamo!
E l’anima questo veliero che cerca la sua Icaria dove vuole andare?
Non importa dove! Non importa dove! Purché sia fuori da questo mondo!

Così Elena Salvini Pierallini continua il suo viaggio, che è curiosità e invito a chi si sente costretto e imprigionato, a uscire dal nero – simbolo di costrizione e limite – a riconoscere il confine per superarlo, scavando nel nido delle memorie, predisponendosi ad aprire la borsa che fino a oggi l’aveva custodito. In un intrecciarsi di sguardi e di gesti ognuno alla ricerca di consonanze e condivisioni.
ESP è acqua che non si fa imprigionare, soffio di vento di mare, un frullar d’ali instancabile e sorprendente.
ESP è un suono di flauto magico, attrae chi è avvezzo a incantamenti: scrittore o poeta, artista o costruttore.
Quale il filo conduttore? Non essere legati al palo del pensiero fisso, non accontentarsi del qui e ora, non rinunciare alla ricerca della perfezione, come invitava Calvino.
ESP mette in piedi anche i suoi libri: Borse nere, insieme alle sue opere, raccolgono i segni che ogni invitato ha voluto tracciare, messaggi pure incompiuti, perché è l’incompiutezza a spingere sempre oltre.
ESP gioca col topos del viaggio come liberazione dai condizionamenti, per cercare una conciliazione con se stessi scavando ciascuno nel proprio nido – nido di ricordi, di dolori, delusioni, aspirazioni, idee – per una nuova apertura verso gli altri. Si apre la borsa e si mostra ciò che si vuole, alla ricerca di un’interazione profonda, fra chi non si accontenta della banalità della realtà, ma va a cercarne l’essenza.
Lasciando il passatismo di troppi benpensanti, la superficialità di chi vorrebbe ridurre l’arte a fast-food, lo spontaneismo millantato per innovazione.
Intanto alla ricerca di senso e di identità. E poi anche verso quella sensazione del sublime che Kant associava alla visione del cielo stellato, fino a “sfiorare la perfezione dell’esistere”, confessa Elena.
Voglia di intimità fra chi è avvezzo ad ascoltare i silenzi, fra chi ama la lentezza dell’approfondimento, la serietà del rigore, fra chi cerca di trasformare l’inquietudine in creazione, fra chi ignora il disincanto e sceglie l’incanto come pulsante di vita. Fra chi con l’immaginazione gioca in tutti i sensi e in tutti i versi, in quel gioco terribilmente serio della vita.
Chi non vuole farsi acrobata di questo circo triste, casa fa? Prende e parte.
Supera così il senso di impotenza a voler cambiare una società che non piace: corrode l’anima e la consuma privandola di slanci e ideazioni.
Non è forse compito dell’arte varcare le soglie fra realtà e immaginario?
La ricchezza dell’arte sta proprio nella dimensione dell’oltre, nell’alluso e nell’inespresso, nella ricerca spinta dalla continua sete d’infinito, dalla volontà di riannodare i fili fra umano e divino per dare corpo a un sogno.
Ma il viaggio della produzione artistica è sempre un viaggio peculiare, come quello libero e imprevedibile del vento, alla ricerca dell’insostenibile leggerezza dell’utopia.
Così, i raccontatori di storie – 39 artisti, architetti, fotografi, poeti o scrittori – con qualsiasi mezzo espressivo scelto, si apprestano a condividere, a riscoprire la dimensione del cum, per costruire nuovi valori. Non sono le lusinghe del mercato ad accomunare; consapevoli che la libertà non risiede nell’arbitrarietà dei comportamenti individuali; con la sua borsa nera ciascuno deciderà se e a chi mostrare le parti più preziose del sé qui custodite, alla ricerca di empatie.
Produrre un moto empatico capace di superare il solipsismo narcisistico imperante.
Il viaggio accende lo stupore, anima la curiosità, spoglia dalle abitudini, fa assaporare la libertà, libera dagli obblighi, accende speranze e attese, favorisce conoscenze, libera schemi mentali, grazie anche al continuo confronto con le diversità.
Non è certo vacanza-mancanza, il viaggio ha a che fare con la pienezza.
Il viaggiatore come Ulisse insegue l’immaginazione, si esalta in una sete di curiosità stimolata da mille sirene, si misura con le tante diversità alla ricerca del senso della propria identità, si sradica dal passato per costruire una svolta in nuovo presente per un inedito futuro.
Così, come nel viaggio dantesco, la discesa dentro se stessi si fa ascesi meditativa: pazienza, fatica, profondità, ricerca del senso delle cose, ridefinizione dell’idea che si ha di se stessi, astrazione concettuale. Perdersi e ritrovarsi. Volontà di decostruire una vita per poi ricostruirla nuova di zecca.
Ma come in qualsiasi fiaba che si rispetti, occorrono gli aiutanti magici, affinché l’individuo sposi la figlia del re e viva felice e contento e gli aiutanti magici stanno proprio dove meno te li aspetti, magari sono lì, accanto a te, dietro mentite spoglie: la famiglia, gli amici, i colleghi, i vicini e i lontani pronti a vivere in una dimensione dell’insieme.
Elena con questa esperienza ci saluta con un eccetera invitante, suggerendoci che ancora una volta il viaggio non finirà qui, la sua arte è mercuriale e i suoi piedi hanno le ali.
Sa benissimo che tutte le Penelopi tessono tele, sembrano attendere, ma tramano.