Un’antica terrazza romana affacciata sull’Africa

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30 Dicembre

La voglia di dare un’occhiata alla Libia covava da tempo. Finalmente ci siamo, anche se, disponendo di non più di otto giorni, si è costretti a selezionare bene le tappe del viaggio. Si sceglie la Tripolitania, insieme ad una rapida frecciata nel deserto, anche e soprattutto per immergerci all’interno dei magici vicoli di Ghadames.
Il gruppo si infoltisce giorno per giorno, tantoché l’amica Shirin, dell’agenzia Shiraz di Roma, ci offre un ottimo pacchetto, arricchito e reso ancor più conveniente quando si raggiunge il numero 17, compreso un certo Prof. Tommaso, che proprio la signora Shirin ci chiede, squisitamente (quanto squisito risulterà Tommaso) di includere.
Le disposizioni consolari impongono un viaggio sostanzialmente organizzato fin prima della partenza: percorso, alloggio, trasferimenti, guida, accompagnatore; tutto ad eccezione dei pasti. Il visto ci sarà consegnato direttamente in aeroporto a Tripoli e dunque tutto è a posto, dopo aver deciso di raggiungere Fiumicino con un pulmino in partenza da Certaldo, via S. Pancrazio, Chiesanova e Firenze. L’unico disguido è dovuto all’anticipazione della partenza, che ci obbliga a metterci in moto nottetempo.
Si parte, dunque, da Certaldo alle 2.00 di sabato 30. Insieme a me e Sandra salgono anche Eva, Giuseppe, Maria, Paolo, Carla e Pierluigi; a S. Pancrazio si aggiungono Sandra e Giuliano, a Chiesanova Cristina e Pietro e a Firenze si completa con Antonia, Stefania e Gianni, dato che Maria Teresa e Tommaso ci attendono direttamente a Fiumicino, dove si arriva puntualissimi alle 6.30.
L’aeroporto è tranquillissimo e non sono troppi i gruppi in partenza. Le operazioni si sbrigano senza intoppi e nello spazio della breve attesa incontro conoscenti in partenza per Tripoli. Fra questi anche l’amica Simonetta, segretaria generale del Comune di Fiesole, già operativa presso il Comune di Empoli e di conseguenza presso il “mio” Circondario.
Si vola con la Blue Panorama, una piccola compagnia ben attrezzata, in mano a giovanissimi operatori di equipaggio, conseguenza felice della politica, oggi tanto di moda, delle sostenute e ripetute liberalizzazioni. L’arrivo a Tripoli è, come previsto, alle 12.15, dopo neppure due ore di volo, con soltanto il tempo per un rapido spuntino.
Appena atterrati si è accolti dal personale incaricato dalla locale agenzia e dopo un’oretta siamo già sul pulmino, direzione hotel, con in tasca i Dinari cambiati in aeroporto.
Oggi e per tre giorni è grande festa in Libia (festa dell’agnello e del pellegrinaggio). Parlo telefonicamente con il nostro accompagnatore Ramadan, che però ci raggiungerà non prima delle cinque del pomeriggio. Dopo aver preso posto all’8° piano di un gigantesco hotel statale, stile sovietico (il “Bad Albahir”), alcuni di noi ne approfittano per una rapida consumazione al ristorante interno e alla 15.00 si parte per un prima visita alla Medina, dove però è quasi tutto chiuso, forse anche perché, oltre alla festa del pellegrinaggio, incidono i tre giorni di lutto nazionale decretato per la decapitazione di Saddam Hussein. L’occasione serve tuttavia per renderci un po’ l’idea della città e dopo una calma passeggiata si fa sosta in un tipico bar, dove si consuma caffè e soprattutto tè alla menta, con l’aggiunta di una quantità sproporzionata di nocciole e pistacchi, che gustiamo soprattutto io e Maria Teresa.

Con Ramadan si perlustra l’area intorno all’hotel, soprattutto per verificare la possibilità di prenotare il “Gran Cenone” dell’ultimo dell’anno. La scelta cade sull’hotel Chorintia che, per la verità, è l’unico in grado di pazientare per permetterci di raggiungere almeno mezzanotte. Evviva! Evviva! Anche il prezzo è accettabile, io e Cristina si riesce a strappare un piccolo sconto di 5 dinari, passando da 45 a 40, ovvero circa 25 euro, con un variegato menù a volontà.
Poi non ci resta che la cena in hotel, dove con circa 9 euro ci offrono un discreto menù, naturalmente sorseggiando acqua e addirittura anche un po’ di birra, naturalmente, scrupolosamente analcolica, tanto per evitare (non si sa mai) qualsiasi ubriacatura di sorta.
Il gruppo si è già meravigliosamente amalgamato e anche l’ “inserimento” di Maria Teresa (amica di Antonia) e Tommaso (originario di Roccasecca, provincia di Frosinone) si contempla in modo naturalissimo e dunque, con ampia soddisfazione di tutti, dopo una brevissima sosta sulle poltrone della hall, si prende posto nei nostri letti, cedendo alla legittima domanda di riposo delle nostre stanche membra assonnate.

31 Dicembre

L’appuntamento per la colazione è rigorosamente rispettato ed è anche l’occasione per rammentarci il controllo dell’assunzione delle rispettive pastiglie quotidiane (sempre per la pressione e mai, sia chiaro, per la de-pressione) che quasi tutti, alla nostra età, siamo stati consigliati di consumare. Il menù, purtroppo, è assai impoverito dalla forzata assenza degli appetitosi piatti di salumi che, qui in Libia, sono tassativamente vietati e sostituiti da qualche formaggio, uova, tanti cetrioli, un po’ di pasticceria. Pazienza! Riusciamo a soddisfare comunque i nostri appetiti, coprendo quasi totalmente il tempo che ci separa dalla cena.
La prima visita è dedicata al Museo della Jamahiriya, sulla Piazza Verde, al quale dedichiamo tre ore abbondanti. Passa per il museo più completo e interessante dell’intero Mediterraneo per le sue collezioni di arte classica. Realizzato con la consulenza dell’UNESCO, è dotato di oltre 40 sale. Noi ne visitiamo la gran parte, anche se un po’ in fretta: si parte dall’era preistorica per passare all’epoca fenicia e poi greca, per arrivare a quella romana.
E’ quasi l’una quando il nostro pullman si avvia verso Sabratha, la città di Apuleio. Città romana che si è sviluppata su un precedente insediamento punico ed è decaduta a seguito del tremendo terremoto del 365 d.C. Dopo la visita del piccolo museo, si oltrepassa il Tempio e il Decumano per raggiungere la Piazza del Foro, dove si affaccia la Basilica, il Capitolium e la Curia. Si giunge poi al Tempio di Iside, sul mare, in una posizione straordinariamente suggestiva. Infine il Teatro, superbo gioiello dell’arte romana, il monumento più maestoso di Sabrata, il teatro romano più grande dell’Africa, con un fondale stupefacente che si innalza al di sopra del palcoscenico. Ci si concede mezz’ora di relax, seduti sulle gradinate, per goderci lo spettacolare scenario offerto dagli intervalli delle colonne, che ci consentono di spaziare direttamente sull’infinito del mare.
Anche qui, come altrove, solo e soltanto italiani, con qualche rara aggiunta di tedeschi e giapponesi che, insieme alle antiche testimonianze dei fasti del passato, si godono una splendida giornata di sole.
Strada facendo, avevo raccontato che, una volta, una giornalista mi aveva fatto notare come, salutando una persona, si è soliti domandare: come stai? E mai: sei felice? Cogliendo la soddisfazione degli scenari offerti e della simpaticissima compagnia, oramai sperimentata, Maria Teresa esplode in un sincero: oggi sono felice!
Si rientra intorno alle 18.00 per gustarci un tè (ovviamente alla menta) e soprattutto per ascoltare Sandra che, al bar dell’hotel, ci incanta con leggiadre pagine prese in prestito niente meno che da Erodoto. Poi iniziano i preparativi per il “Gran Cenone”, rispettando un rito che neppure il Dio Allah è in grado di impedirci.
La cena all’hotel Corinthia si presenta in grande stile; è a self-service, con un’abbondante quantità di specialità diverse, generalmente anche di apprezzabile qualità. E siccome sono appena le 21.00, avete capito bene: si mangia per almeno tre ore. Naturalmente senza tradire le nostre tradizioni di toscanacci confusionari, animando vivacemente uno spazioso angolo dell’ampia sala ristorante, accalorati dalla passione dello stare insieme e non già dalle impossibili consumazioni di briosi vini e champagne. Il gruppo è continuamente osservato e non soltanto perché il più numeroso, piuttosto perché il più rumoroso e colorito. Per il brindisi della mezzanotte riusciamo a garantirci perfino bottiglie di acqua ben gassata, ma soprattutto riusciamo a coinvolgere alcuni dei tavoli d’intorno, specialmente uno, composto da un giovane e da tre ragazze, ben coperte, forse anche per non far prorompere (cattiverie di alcune di noi) le loro nascoste “bellezze”. Con queste si riesce addirittura a brindare e a festeggiare così l’arrivo del nuovo 2007, un evento per loro assolutamente senza alcun significato. A mezzanotte e mezzo si esce, intonando perfino qualche festosa canzone, inscenando baldorie per quanto assai contenute, trasmettendo auguri ricambiati da una piccola folla curiosa, mentre sulla scalinata il gruppo posa per un regale scatto di testimonianza.

1 Gennaio

La cena copiosa non sconsiglia una altrettanto abbondante colazione, prima di avventurarci all’interno di Tripoli, sotto la guida del nostro fido Ramadan. Con il pullman si raggiunge la “Green Place”, punto di partenza per ogni escursione alla capitale, l’antica Oea fondata dai fenici. Il primo impatto si ha con l’arco di Marco Aurelio, la testimonianza più integra dell’antica città romana. Ramadan ci spiega e noi completiamo le nostre curiosità istruiti dalle nostre guide, mentre nessuno manca di documentare la propria presenza con l’ausilio di riprese foto e video. Subito dopo si passa alla visita della Moschea Gurgi (pare la più leggiadra di Tripoli), con interni molto interessanti, riccamente decorata con maioliche, una Moschea molto vissuta che suscita le curiosità di molti di noi. Si attraversa, quindi, un’ampia area della Medina per poi tentare la visita del porto, che purtroppo osserva il giorno di chiusura. Metà pomeriggio è dedicato alla visita dei dintorni di Tripoli, con sosta ad un ricco mercato di frutta dove si fanno acquisti copiosi, per l’oggi e per i giorni successivi. Si rientra per visitare la città coloniale, che parte dalla Piazza Verde e si estende di fronte alla Medina. Un vasto quartiere progettato e costruito da architetti italiani durante gli anni ’20-’40. Si raggiunge la parte finale, chiusa dalla biblioteca nazionale, dove Antonia si fa immortalare al centro del parterre. Un quartiere di architettura tipicamente fascista, purtroppo in gran parte mal conservato. Dopo una pausa caffè si rientra e si decide di sparpagliarci all’interno della Medina, mentre Maria Teresa passa alle operazioni massaggio e qualcuno trova conveniente ed utile concedersi una tappa di riposo in hotel. Insieme a Carla e Gigi, io e Sandra torniamo dall’amico del simpatico bar dove avevamo, nei giorni precedenti, gustato tè e caffè; da qui, più tardi, si raggiunge a piedi l’hotel.

Alle 20.00 si parte per uno dei più rinomati ristoranti, dove la specialità è il pesce. Ottima è l’accoglienza, così come il servizio, il clima rilassante e le musiche sax sono opera di un vero esperto. Tutti si divertono e l’occasione serve anche per sciogliere le ultime riserve fra chi, magari, non può approfittare di amicizia coltivata nel tempo.
La nostra guardia di scorta (quella che ha il compito di controllare e garantirci sicurezza) non ci abbandona un momento ed anche stasera ci attende paziente (insieme all’autista) per riaccompagnarci in hotel, dopo averci scrupolosamente contato uno per uno e soltanto dopo aver fatto la riprova autorizza l’autista alla partenza. Ci conta in continuazione e sul suo volto si stampa un largo sorriso soltanto quanto raggiunge il numero 17. Ecco, questo è il nostro “contatore” ufficiale, legalmente autorizzato ed autorevolmente riconosciuto, anche dalle varie pattuglie di controllo, incontrate lungo i nostri trasferimenti, che mai si sono però permesse di importunarci.

2 Gennaio

Oggi sarà una giornata particolarmente impegnativa. Appena scendo per la colazione incontro Paolo e Maria che hanno gia fatto, mentre Giuliano attende Sandra. Più avanti, nella hall, sento chiamare “… Alfiero, oh che ci sei anche te…?” E poi, “… già, ma tu sei un grande viaggiatore…!” E’ Renato Campitoti, insieme a Martini, quest’ultimo ex sindaco di Calenzano e Renato “vecchio” amico dei tempi andati, oggi autorevole dirigente delle cooperative toscane. Sono in un gruppo organizzato, hanno già visitato Ghadames che mi riferiscono splendida. Ci abbracciamo per un rapido saluto, augurandoci “buon anno” e “buon viaggio”.
Subito dopo provvedo alla liquidazione del conto-telefono (i cellulari spesso non captano, quello di Sandra non funziona ed io, per non confondermi, l’ho lasciato a casa) che risulta di importo assurdo, avendo chiamato dall’hotel.
Si parte, dunque, per Leptis Magna, la meraviglia dell’intero Mediterraneo. Ci accompagna una guida ben preparata che ci introduce all’interno della città secondo un percorso non ordinario.
Il nucleo originario di Leptis Magna risale al VII secolo a.C. per opera dei Fenici, mentre Roma arrivò nel 111 a.C.. Durante il regno di Augusto si abbellì di lussuose costruzioni, anche se il suo aspetto definitivo si ebbe con Settimio Severo, intorno al II secolo d.C. La visita inizia dallo splendido Arco di Settimio, poi si passa al Ninfeo, con il suo colonnato di granito rosso e marmo cipollino e al Foro dei Severi. Il teatro in pietra è uno dei più antichi del mondo romano, è letteralmente emozionante, specialmente quando ci sediamo sulle gradinate più alte, così come prezioso ci incanta lo stabilimento termale di Adriano. Quindi la basilica, l’antico foro, posto esattamente sul porto… e da qui ci si allontana per raggiungere l’immenso anfiteatro, capiente di ben 16.000 spettatori. Il tutto è letteralmente avvolto nell’impareggiabile scenario offerto dalle coste marine, che penetrano e penetravano all’interno della città. Gianni e Stefania non escludono di tornare con la loro “nave” a godersi, dal largo, l’infittirsi delle colonne romane; Eva, Giuliano, le Sandre non perdono occasione per tentare di imparentarsi con la storia dei vari monumenti, quando appoggiati, quando ponendosi sull’apice di alcune colonne per ripetute riprese foto e video. Con Cristina, Pietro, Antonia e Tommaso, Carla e Gigi, Eva e Giuseppe si percorrono i vicoli, tentando di immaginare la vita di quei tempi, di quelle popolazioni, di come si saranno inseriti gli “stranieri” romani. L’atmosfera che si respira è quella di una città davvero imperiale, ricca di sfarzose decorazioni, di edifici assolutamente monumentali. Qui anche le rovine sembrano palpitare di vita, sembrano voler raccontare la storia, mentre il silenzio sembra voglia comunicare soltanto aspettative di pace. Tutti quanti ci godiamo lentamente, senza fretta, la spettacolarità che la vista ci sposta in avanti, verso le acque del Mediterraneo e soltanto dopo oltre quattro ore si rientra nell’area di partenza. Qui ci si accomoda ad alcuni tavoli sotto una tettoia, si riposa, si mangia il panettone di Gianni e Stefania e subito dopo si visita il museo, dove sono conservati reperti che vanno dalla preistoria fino all’era Gheddafi: fossili, ceramiche puniche, monete ed oggetti funerari.

La tappa successiva è la visita all’affascinante Villa Sileen, una lussuosa residenza bizantina che dimostra come, anche in quei tempi, vi fossero benestanti capaci di godersi i piaceri della vita. Anch’essa affacciata sul mare, con pavimenti rivestiti di preziosi e raffinati mosaici, con pareti affrescate e nicchie delicate che intervallano il labirintico percorso interno. Ci disperdiamo all’interno per non tralasciare alcun particolare, poi la sosta nello spazioso cortile, anch’esso mirabilmente decorato ed affrescato.
Siamo non troppo lontani da Leptis Magna, una zona già oggi molto frequentata dal turismo balneare, come ci informa il nostro Ramadan, con prospettive di ulteriori sviluppi, se succedesse davvero che qualche appetito, dovuto a capitali stranieri, decidesse di soddisfarsi proprio su questa costa, oggi così integra, naturale ed incontaminata. Se ciò accadesse, vogliamo augurarci che almeno si rispetti il livello della qualità insediativa operata dagli antichi romani.
A metà pomeriggio si riprende alla volta di Gharyan (Castello delle grotte), capoluogo del Jebel Nafusa, dove si passerà la notte. Ma prima vivremo l’intensità dell’esperienza maturata all’interno di una tipica abitazione trogloditica, arricchita da una cena con loro piatti tradizionali. La gestione è in mano ad una coppia di giovani che si sono messi in testa (fortunatamente e per questo cerchiamo di incoraggiarli) di offrire servizi per lo sviluppo di un turismo mirato, rispettoso della qualità delle proprie tradizioni. Insomma, progetti ambiziosi che ci sembra possano davvero risultare promettenti. Mentre ci illustrano le caratteristiche dell’ambiente e mentre soprattutto le nostre signore (Carla, le Sandre, Cristina, Stefania) spettegolano su come sarebbe comodo viverci per un certo tempo, tutti noi ci accovacciamo per terra, distribuendoci a gruppi di quattro, chi appoggiato alle pareti, chi più disteso, in attesa di zuppa, riso, carne ed altre sostanze più difficilmente qualificabili. La qualità è comunque apprezzata dai più, mentre Paolo ci spiega come in queste case abbiano brillantemente e finalmente risolto l’antico problema dello “scendiletto”. Si trascorre una serata felicemente divertente, conclusa con l’offerta di dolci e datteri, che fanno tutti felici, ma soprattutto, com’è noto, Pietro, Maria Teresa, Tommaso, Antonia.

3 Gennaio

Al mattino, nel quasi unico hotel della cittadina, si incontrano tutti i turisti, in partenza o in arrivo da Ghadames, o addirittura dal lontano deserto. Carla e Gigi incontrano una giovane coppia di Barberino, amici del loro figlio, con i quali si intrattengono anche per scoprire particolari sull’avventura nel deserto dal quale provengono. Altri italiani ci raccontano di essere partiti da Torino con propri mezzi, opportunamente attrezzati per il deserto; resteranno in viaggio per tre settimane, dormendo o nel proprio mezzo o in piccole tende, sfidando il freddo che in questo periodo è talvolta mordente.
Fatta colazione si parte, dopo quasi un’ora di attesa per consentire alla nostra “scorta-contatore” di svolgere operazioni di registrazione dei visti di ingresso in Libia.
Maria Teresa è entusiasta di dove e come si sta andando, tanto da raccomandarmi la programmazione di nuovi, prossimi viaggi, magari con lo stesso identico gruppo, ormai consolidatamente affiatato. Sì, cara Maria Teresa, te lo prometto, anche perché per me viaggiare, guardare, osservare, capire è come realizzare un progetto; sognare, fantasticare, scoprire dove si vuole o si può arrivare, per conoscere se stessi nell’incontro e al confronto con gli altri. Sento la forza sbrigativa dell’avventura, quella della curiosità che mi spinge, implacabilmente, ad assumere il ritmo e le regole di un viaggiatore nomade che, però, conosce le proprie mete. L’emozione di un’immagine non varrà mai quanto l’emozione di un incontro. Io vi racconto con un diario, voi con le vostre foto, ma né l’uno né le altre potranno mai sostituire l’esperienza diretta, l’unica che potrà soddisfare ed acquietare l’animo di noi nomadi curiosi, di noi indomabili viaggiatori.
Alle 10.00, finalmente, si parte da Gharyan, capitale della ceramica artistica, per indirizzarci verso un’altra capitale berbera, Kabaw, sulle colline poste al centro delle montagne occidentali, dove tuttora prospera la cultura berbera. Per arrivare si attraversano campagne fra le più fertili della Libia e non è davvero un caso che proprio in questa zona resistano ancora i più tipici e curati granai (i qasr). Visitiamo questo di Kabaw, di età medievale, avvolto in una dimensione circolare, di quattro o cinque piani, raccoglieva e custodiva i raccolti delle popolazioni di tutta l’area. Offre uno scenario teatrale e noi, attori improvvisati, ne approfittiamo per inscenare alcune rappresentazioni, ispezionando gli interni, percorrendo le pensiline e cincischiando nel cortile.

Intorno a mezzogiorno si riprende e Antonia si incarica di “leggiadrare” il nostro procedere con forbiti e dotti racconti incentrati sulle storie della mitologia classica (Arianna, Filemone e Bauci…) prima di una breve sosta, utile ai più (con l’eccezione di Gianni, Giuliano, Sandra ed il sottoscritto) per una frugale consumazione e dunque riprendere la strada per Ghadames. Una strada ottima, poco trafficata, dove si viaggia ad oltre 100 Km. all’ora, addirittura illuminata anche durante il giorno, dato l’insignificante costo del carburante.
Si passa adesso ad un paesaggio pre-desertico, lineare e senza confini, forse addirittura un po’ noioso se è vero che quasi tutti trovano il modo di appisolarsi e qualcuno, perfino, sprofondare in un sonno quasi letargico, mentre Pietro continua la lettura dei propri quotidiani arretrati che, naturalmente, si è portato dall’Italia. Niente di meglio, dunque, che tentare con un caffè, che consumiamo lungo la strada insieme ad altri gruppi, ovviamente italiani. Ormai siamo prossimi a Ghadames che, contrariamente a quanto aveva immaginato qualcuno, non si trova sul mare, ma sui confini con Algeria e Tunisia. Il tempo che ci separa è impiegato per una istruttiva discussione con Ramadan circa la vita in Libia, soprattutto a proposito di alcuni costi: reddito = 260 euro mensili, con 12 euro si fa un pieno di benzina, un’abitazione decente si può acquistare con 1.500 – 2.000 Euro.
L’albergo Ben Yader, che aveva preoccupato alcuni del gruppo, si riscontra come il migliore: piccolo, gestione familiare, pressoché nuovo, accogliente fino al punto di invogliarci a consumare la cena al suo ristorante … e durante gli intervalli ci mettiamo a chiacchiera con il nostro simpaticissimo Haidi, il “custode – contatore”, che ci racconta della sua famiglia, dei suoi 8 figli e anche della sua necessità di svolgere più lavori per tirare su l’impegnativa baracca.
Prima di occupare le camere si opta per una passeggiata, anche per tentare di partecipare ad uno spettacolo, forse folcloristico, che si consuma in un locale nei pressi, locale però rigorosamente sprangato, forse perché ormai esaurito.

4 Gennaio

A colazione, stamani, si entra in confidenza con una doppia coppia originarie di Imperia, in verità conosciute la sera precedente, quando ci avevano consigliato lo spettacolo impossibile. Avremo modo di tornare sull’argomento; intanto si prende la direzione per il Museo, dove una simpatica guida (un insegnante) ci accompagna e ci illustra le poche, ma curiose e quasi uniche collezioni qui allestite: manufatti di epoca, naturalmente, romana, collezioni di oggetti tuareg , otri di vario genere. Il nostro gruppo è numeroso e dunque ha “diritto” di assicurarsi la guida più qualificata, mentre gli amici di Imperia dovrebbero accontentarsi di quanto residuato. Una delle due signore (da qui inizia una lunga serie di scenate) si indispettisce, protesta e addirittura minaccia denuncie contro l’agenzia. Il nostro Ramadan (con libico orgoglio, anche se non c’entra assolutamente nulla) si fa carico del problema ed invita le due coppie ad aggregarsi a noi, non prima, però, di aver garbatamente domandato alla signora: “… ma signora, non sono forse giornate di vacanza…?”. Giusto, Ramadan! Ma tiriamo avanti e indirizziamoci verso la città vecchia. Una città di mattoni di fango, colorata di bianco quasi abbagliante, un intricato labirinto in cui volentieri ci si perde, seguendo la luce scarsa che riesce a filtrare soltanto nelle piazzette aperte o dai pochi lucernari presenti. Una città unica, fiabesca, con le sue case pitturate e ricche di suppellettili vari, con la sua tranquilla gente berbera, tuareg ed araba, che qui ha vissuto pacificamente, ad un ritmo lento e d’altri tempi, in un’atmosfera quasi irreale. Sì, era gente che qui viveva, visto che ormai si è trasferita, nell’ultimo decennio, tutta quanta nei nuovi quartieri. Si visita questa città con lo stesso stato d’animo di chi si appresta ad entrare in un sogno, questa perla del deserto, abitata fin da tempi antichissimi, grazie all’abbondanza delle sorgenti d’acqua che qui vi si trovano.
Si entra da una delle porte più antiche e mentre la nostra guida ci offre tutte le spiegazioni comportamentali, i più si distraggono, mentre io, Paolo, Pietro, Gianni, Giuseppe, Eva e Tommaso si avviano commenti circa lo storico sistema di funzionamento. Le vie contorte sono costellate da porte di ingresso riccamente adornate da piccoli pezzi di stoffa colorata e specchietti, come segno che i vecchi abitanti hanno compiuto il viaggio alla Mecca. Cristina, Maria, Sandra, Stefania, Carla sono tutte quante attratte da queste decorazioni, mentre forse Gianni sta, da bravo architetto, architettando di mettere in opera qualcosa che possa eguagliare Ghadames. Si passa da piazza Tingazin a piazza Intelewan, quindi a piazza Ghazar per arrivare alla Piazza principale, dove si trova Al-Kadus, il quartiere generale dell’uomo incaricato della distribuzione dell’acqua. La guida ci arricchisce di utili informazioni, poi una breve pausa. E’ strada facendo che le signore di Imperia (curiose come poche) chiedono a me e Stefania quanto sia costato il nostro viaggio, informandoci in anticipo del loro costo, pari a 2.100,00 Euro; e quando scoprono che il nostro, invece, non ha superato i 1.100,00 (anche se senza i pranzi e le cene), sembrano disperate e cominciano ad accusarsi vicendevolmente. Da allora inizia una specie di comica sfida su chi è stato più “bravo”, su chi dei due gruppi è riuscito a strappare le migliori condizioni. E giù risate a più non posso, approfittandone da parte nostra, fino a farli porre l’uno contro l’altro, “disarmati” ed animando così il nostro lento incedere, interrompendo il silenzio catacombale, dove l’unico rumore riscontrato è quello dell’acqua che scorre. Ed è proprio con la “Fontana della cavalla” che si conclude il nostro peregrinare, ammirando l’elegante facciata di un vecchio albergo italiano abbandonato, dove alloggiava Italo Balbo (il governatore), dove Sophia Loren vi passò due notti e dove forse non mancò di tornare Bernardo Bertolucci, quando ebbe ad ambientarvi il suo celebre film “Il tè nel deserto”. Propongo a Gigi di mettere su un progetto per recuperare questo simpatico immobile, Carla propone di coinvolgere l’esperta Maria, magari sulla scorta di un progetto firmato Gianni Vivoli, mentre Pietro e Giuliano potrebbero abitarlo ed io potrei far loro visita, magari in transito verso altre mete lontane.
Alle varie bancarelle si fanno acquisti selezionatissimi: chi osa sbizzarrirsi di più è Maria Teresa, che riesce anche in Libia ad appesantire non poco il proprio bagaglio.
La sosta per un piccolo spuntino (dopo esserci riforniti in negozi alimentari) è presso il bar attiguo all’hotel, dove gentilmente ci consentono di sederci e consumare i nostri prodotti: alcuni all’interno, altri a gustarsi un bel pomeriggio di sole. Un pomeriggio che ci accompagna prima alla visita delle oasi (sostanzialmente deludenti), poi al tramonto sulle dune, frequentatissime e “baldoriose”. Il tramonto è comunque il tramonto, che non manca mai di trasportarci in un romantico immaginario. Cristina e Pietro, Eva e Giuseppe, Io e Sandra, Gianni e Stefania (e forse altri che stanno dietro) ci accomodiamo in attesa, puntando gli occhi fissi verso l’orizzonte di ponente, in attesa del declino definitivo, prima di ricongiungerci tutti alla tenda dei tuareg, dove ci viene offerto un gradevole “te nel deserto”.
La cena è prevista all’interno di una speciale casa della città vecchia dove, se il menù tradizionale non differisce molto da altri, l’ambiente è superlativo, sia per la peculiarità della struttura che per il suo arredamento, senza trascurare la vivacità dei colori che impreziosiscono i vari addobbi, atti a generare calore insieme al colore. Naturalmente, anche qui non servono “scendiletto”, ci si aggiusta seduti per terra e si da il via, “bischereggiando”, al nostro concerto conviviale. Se ne dicono di tutte, Paolo è in forma splendida, con Stefania, Sandra e Cristina cerchiamo di rammentarci dove, in India, incontrammo il “Conte Corsini” e visto che qualcuno teme la presenza di topi, con Gianni e Pietro racconto a tutti la nostra esperienza, sempre in India, al Tempio, giustappunto, dei topi, reincarnazione dei poeti. Dunque, un poeta è destinato a passare alla storia reincarnato in un topo, una poetessa in una topa… ed immediato il pensiero corre alla poetessa Sandra, la mia e la nostra topa.

Si esce a notte fonda e siamo ormai gli unici superstiti ad avventurarci nei meandri del labirinto, dopo una giornata davvero intensa e forse irripetibile, se non altro perché Ghadames non è esattamente posta sulle grandi vie di comunicazioni, per quanto, viceversa, lo fosse nella sua gloriosa antichità.

5 Gennaio

Oggi si parte presto, è una giornata di transito che vogliamo però concludere ai mercati della Medina di Tripoli. Dunque, anticipiamoci! Il viaggio è lungo e grazie a Sandra (che ci legge una sua poesia, improvvisata sul deserto) e ad Antonia (che ci racconta le Fatiche di Ercole e non soltanto) è reso piacevolmente scorrevole, tanto che in quattro e quattr’otto siamo a Nalut (un antico presidio romano, sulla cima di un colle), dove si visitano la Moschea, il frantoio e naturalmente il maestoso granaio, molto diverso da quello di Kabaw, quasi una sorta di castello, con i sui 400 depositi, restato in funzione fino al 1.960. Ci affacciamo tutti verso la valle: Eva riprende i paesaggi e Gianni, indomito, arricchisce la sua collezione di pellicole, Paolo si disperde nel villaggio, Tommaso pensa alla ripresa delle sue lezioni all’Istituto Tecnico Industriale, Pietro sta per consumare definitivamente i quotidiani acquistati a Fiumicino, Maria Teresa ci illustra gli ambiziosi e pregevoli scopi della sua Associazione, mirati al recupero e valorizzazione dei chiassi di Firenze, Giuliano medita su come far tesoro dell’arte berbera per la sua arte contemporanea… e potremo continuare, invasi dall’abituale immaginazione che ci alimenta, sempre e comunque.
L’occasione di una breve sosta per il carburante ci fa scoprire, nuovamente, i nostri amici di Imperia, rinchiusi in un ristorante a consumare il pranzo quando sono poco più delle 11.00. Gianni e poi Stefania ed altri riescono perfino a far loro maledire l’organizzazione del proprio viaggio, specialmente quando raccontano della mitica cena della sera precedente e del fatto (peraltro vero) che è costata appena una quisquiglia.
Poi si visita un nuovo granaio e si sosta ad un mercato di ceramiche, lungo la strada verso Tripoli, dove si arriva intorno alle 16.00. In tempo perfetto per la Medina che, purtroppo, essendo venerdì, registra molte luci spente. Si fanno gli ultimi acquisti: spezie, tessuti, artigianato ed è qui che incontro altri conoscenti e fra questi l’amico Fausto Berti, direttore del museo della ceramica di Montelupo, di ritorno da una visita (molto fredda) dell’affascinante deserto Akakus.
Si decide di concludere con una cena sul porto, in un ristorante dove ci preparano pesce direttamente scelto sui pancali dov’è esposto. Si consuma un’altra esperienza molto gradevole, distribuiti ad un tavolo quadrangolare, con un vario menù, scelto con l’attenta maestria di chi ha frequente familiarità col mare: Gianni, soprattutto, ma anche Gigi, Eva e Carla. Io mi accontento di come va, va, mettendoci bocca soltanto per gustare le prelibatezze indicate dalle amiche e dagli amici. Risultato ottimo, anche per il prezzo, che non supera 15 Euro, compresi i tre pasti per l’autista, Ramadan ed un suo amico medico, che si sta specializzando a Siena, con primari che Eva e Giuseppe conoscono e frequentano, tantoché discorrono intensamente per tutta l’attesa della cena e si promettono di incontrarsi, quanto prima, in Italia. Purtroppo non cena con noi il “contatore” Haidi, che ha deciso di ripartire durante il pomeriggio, in modo da raggiungere la numerosa famiglia prima della notte, visto che abita a circa 150 Km. da Tripoli.
Soddisfatti si rientra in hotel e si siede sui divani per qualche commento, senza dimenticare quelli a proposito delle coppie di Imperia che, nel frattempo, arrivano. Entusiasti, ci raccontano di una magnifica cena sul porto, naturalmente cascandoci ancora una volta. Anche noi, si racconta, abbiamo cenato sul porto, ma con piatti tre o quattro volte più ricchi, si inventa l’inverosimile, si parla di un costo miserissimo (molto più “vilio”, di quanto già “vilio” fosse), di un servizio in guanti bianchi, con musica e spettacoli vari. Insomma, dire eccellente è dire poco. Riusciamo a demoralizzarli completamente, balbettano, si guardano incarogniti, si scambiano accuse tipo “…te l’avevo detto che non dovevamo fidarci di quella agenzia…”, “…questa, sia chiaro, è l’ultima volta…”. Maledicono l’organizzazione, forse l’intero viaggio, sicuramente tutti noi che, con il nostro imperturbabile cinismo, siamo riusciti ad avvilirli definitivamente. Ma siamo giustificati: la Libia non offre occasioni di svago, ma soltanto rovine, città abbandonate, deserti. Che fare, allora, se non approfittare di qualche presunta furbacchiona che non sa quanto più furbi, scaltri e mattacchioni siano le componenti e i componenti del gruppo Al-fiero?

6 Gennaio

La colazione è anche l’occasione per indirizzare a Sandra Stanghellini i nostri più cari auguri di “buon compleanno”. Poi si parte e sulla strada per l’aeroporto, a tre Km. di distanza, si guasta il pullman. Un po’ di apprensione, ma niente di più, perché l’esperto autista risolve tutto, anche se dopo ripetuti tentativi. I controlli si sbrigano in un batter d’occhio ed in attesa dell’imbarco si incontrano alcuni amici che, con altri gruppi, hanno visitato parti diverse della Libia. Antonia mi avverte di aver incontrato anche Sandra Buyet, già dirigente cultura al Comune di Firenze, oggi impegnata con l’Associazione amici dei musei. La saluto anch’io, così come Simonetta, Fausto, una storica insegnante del liceo di Empoli. Poi si parte e poco dopo mezzogiorno siamo a Roma, dove ci attende Massimo, il nostro autista per il rientro.
Antonia si impossessa di nuovo del microfono per una proposta ancora una volta deliziosa: il 28 gennaio siamo tutti invitati a pranzo. Le nostre signore cominciano a sbizzarrirsi circa il possibile menù e da quanto ci è dato capire… avete capito. Ma un viaggio non può dirsi concluso se non con l’impegno di immaginare da subito le prossime possibili mete. C’è chi lancia l’idea della Birmania, chi quella del Caucaso, a chi non dispiacerebbe l’Egitto e addirittura l’Australia. Io, com’è noto, non pongo problemi: sia, purché sia. E dove sia, si vedrà, l’essenziale è che sia. Perché sono pienamente d’accordo con Lisa Saint – Aubin de Teran quando afferma:

“Il viaggiare non rende
necessariamente migliori le persone
ma è una scorciatoia per la
comprensione della natura umana”.

Penso sia proprio così e se così proprio non fosse, mi piace immaginare che così possa essere, per soddisfare la mia curiosità dell’insolito. Mentre solita è la cortesia della mia ancora bambina, sempre più abile nell’intercalare gli spazi, per comporre la giusta grafica con l’inserimento delle foto riprese da Sandra. Un lavoro di èquipe, insomma, che coinvolge, ancora una volta, l’intera famiglia.