Laboratorio di lettura a cura di Sandra Landie Vincenza Quattrocchi.
Todo Modo 4, 11, 17, 25 novembre ore 17-19.
Non smette di affascinare l’opera di Elena Ferrante scandita in quattro tomi (L’amica geniale, Storia del nuovo cognome, Storie di chi fugge e di chi resta, Storia della bambina perduta)e sempre più diffusa nel mondo.
I social networks accolgono giudizi davvero lusinghieri verso questa scrittrice senza volto che recentemente Roberto Saviano ha definito “l’autrice più internazionale che abbiamo”.
Nei quattro incontrisettimanalmente scanditi (Amicizia 4, Amore 11, Abbandono 18, Maternità 25), abbiamo cercato di indagare, incrociando le nostre osservazioni con quelle dei partecipanti, i segreti della sua scrittura e le dinamiche psicologiche dei più sofferti rapporti della vita.
La psicoanalisi e la letteratura si sono incontrate e incrociate, grazie all’eterno dialogo che le rende inseparabili. Un libro, un quadro, un brano musicale, un film, si offrono per essere paragonati ad un sogno, che attraverso i suoi meccanismi di condensazione e di spostamento, rivela e nasconde molte verità.
Sandra Landi, scrittrice e saggista, lavora nel campo dell’antropologia culturale e delle scienze sociali, con particolare attenzione alle storie di vita. Ha collaborato e collabora con le maggiori case editrici nazionali ed è tradotta in spagnolo e in tedesco. www.sandralandi.it
Vincenza Quattrocchi, medico psichiatrae psicoanalista (membro ordinario Società Italiana di Psicoanalisi) ha lavorato presso i servizi per la salute mentale della Toscana (già Direttore del Dipartimento Salute Mentale ASL11 Empoli) e a sviluppato negli ultimi anni un forte interesse per cinema e psicoanalisi, letteratura e psicoanalisi.
Elena Ferrante, L’amica geniale
I incontro: L’amicizia
Appunti
L’amica geniale è la storia di un’amicizia tutta al femminile, forte e conflittuale, di Lila e Lenù, che crescono insieme in un rione povero di Napoli, fra miseria e violenza.
La loro infanzia trascorre tra litigi con i genitori e scorribande per la strada; pare che non ci sia un futuro diverso per loro, se non attraverso la scuola: se si è bravi nello studio, forse si potrà abbandonare il rione ed avere un futuro migliore.
Lila, dall’anima ribelle, è brava a scuola, quasi geniale, mentre Lenù, per quanto sia diligente, non riesce a ottenere i risultati dell’amica, per quanto si consoli sentendosi più bella: lei è bionda e paffuta, l’altra è mora, spettinata e troppo magra.
Arriva l’adolescenza e tutto cambia: Lila non può proseguire gli studi, perché i suoi genitori sono poveri, mentre Lenù prosegue la scuola e questo sarà importantissimo per la sua vita, ma Lila continuerà ad avere la sua creatività trasgressiva.
Il libro segue le loro vicende, attraverso lo sguardo di Lenù, e ci racconta il loro complesso rapporto, della crescita e del cambiamento, di come si invidiano e si amano; Lila e Lenù si guardano e si conoscono tramite lo sguardo dell’altra, in competizione, ciascuna per decretare la propria superiorità, nel progetto di scrivere un libro insieme, per andarsene dal rione.
Elena Ferrante ci racconta un’amicizia vera e profonda, delineando un romanzo di formazione segnato dalla ricerca della propria identità, con i suoi momenti di dubbio e solitudine, descrivendo la vita di due ragazze che ci appaiono vere e intense: Lila, intelligente, volitiva, coraggiosa, e Lenù, all’inseguimento dell’amica, ma con un’aura che ammalia chi le è vicino.
La citazione del Faust di Goethe posta all’inizio del romanzo, termina così:
…Perciò gli do volentieri un compagno che lo pungoli e che sia tenuto a fare la parte del diavolo…
Ci aspettiamo quindi qualcuno che faccia la parte del diavolo. Lila o Lenù?
Il Prologo comincia con la fine, con una assenza.
Un vuoto quindi, subito colmato con la narrazione, allora come una sorta di reazione al vuoto, l’autrice inizia a riempirlo con la narrazione.
Citazione da Adriana Cavarero, Filosofia della narrazione.
Amicizia
I quattro libri che commenteremo sono la storia di un’amicizia, quindi cercheremo di riflettere su questo sentimento.
E poiché la conosco bene, o almeno credo di conoscerla…
Margaret Atwood fa dire a Elaine, a proposito del suo rapporto con Cordelia, pensiamo di essere amiche.
Sensazione di inafferrabilità
Nessuno è soltanto uno
La volta che Lila e io decidemmo di salire iniziò la nostra amicizia.
Metafora della vita, la salita per una scala buia e puzzolente
Narciso dice all’amico Boccadoro: “Non è il nostro compito quello di avvicinarsi… la nostra meta non è di trasformarci l’uno nell’altro, ma di conoscersi l’un l’altro e di imparare a vedere e a rispettare nell’altro ciò che egli è: il nostro opposto e il nostro complemento.” [1]
È specchiandosi l’uno nell’altro che ci riconosciamo, in una relazione dialettica.
Amico è chi ci comprende e condivide le nostre esperienze, un io e un tu capaci di dischiudersi per creare un noi.
“Dagli amici veri ci dobbiamo aspettare critiche oneste e obiettive e ci fidiamo di loro perché sappiamo che desiderano il nostro bene”.[2]
È un conoscersi e riconoscersi in profondità, anche con la capacità di essere solidali: apprezzare qualità, valorizzare, anche con la capacità di combattere con te e per te, se necessario.
Gli antichi ci tramandano numerose storie di amici intimi capaci di dare la vita l’uno per l’altro: Damone e Finzia, Castore e Polluce, Achille e Patroclo, Oreste e Pilade, Eurialo e Niso.
Storia della letteratura
Fra i tanti bellissimi personaggi femminili è stato una novità, quasi un’anomalia il racconto di una genuina intesa femminile
Come scrisse Virginia Woolf In Una stanza tutta per sé, in passato non accadeva quasi mai che due donne nel teatro e nei romanzi, non si scontrassero o si separassero definitivamente quando tra loro si intrometteva un maschio.
Nelle tragedie greche o in Racine, osserva Virginia, due eroine connesse da affetto possono essere madre e figlia, oppure ancella e padrona, seguendo quindi dinamiche non paritarie. Forse bisogna arrivare ad alcuni serial televisivi contemporanei per trovare esempi di amicizia al femminile come possiamo trovare in Ferrante.
Insomma E. F. delinea un’amicizia complessa che può ricordare i climi ossessivi dell’amicizia di Elaine nei confronti di Cordelia in Occhio di gatto della canadese Margaret Atwood[3]; oppure ancora più simili e senza ambivalenze gli affiatamenti descritti da Catherine Dunne[4] in Se stasera siamo qui.
La sorellanza può essere un conforto immenso e una sponda ma anche un prodigio stregato e distruttivo, come il finale del di Thelma e Louise.
Trovo anche molte somiglianze con la Fiaba classica, Abbiamo
– le eroine
– l’orco, l’antagonista da sfidare e sconfiggere
– le prove a cui si sottopongono
– l’oggetto magico (la spilla conservata come il regalo di una fata)
– la strega
Ecco le eroine: Lila è la genialità della plebe contro l’inquieta e raffinata sobrietà di Elena, unita a lei come alla parte più oscura di sé
Ecco alcune definizioni estrapolate:
Era molto cattiva, cattiva sempre, gelida e decisa, terribile e sfolgorante,
brava a fare e a pensare, aveva la caratteristica della determinazione assoluta
piccola nera nervosa ferma
secca come un’alice salata, mandava un odore selvatico, aveva un viso lungo, stretto alle tempie chiuso tra due bande di capelli lisci e nerissimi… ma sapeva illuminarsi come una santa guerriera.
Azioni
sfida anche la maestra
è molto più avanti di tutti a scuola
impara a leggere e a contare da sola
era troppo per chiunque
era la bambina più detestata della scuola e del rione
vuole esagerare
prove di coraggio, sfida
la sottopone a prove di coraggio e cattiveria: le due bambole.
Ma anche
mi diede la mano accoglienza e complicità.
Lenù
Rotondetta, bionda, coi boccoli mi piaceva piacere alla maestra, mi piaceva piacere a tutti.
Decisi che dovevo regolarmi su quella bambina, non perderla mai di vista
Insieme sono la genialità alla perfezione
Tutte e due proiezioni della genialità della scrittrice
Amicizia basata sulla competizione, sfida, invidia ma anche ammirazione, sbalordimento.
Scrittura
Coinvolge e stimola tutti i sensi, troviamo l’andamento classico del latino, con il rifiuto dei dialettalismi.
Scrittura ricercata nella naturalezza e nella fluidità.
Dualismo anche nel racconto, si tronca un argomento per passare a un altro che poi viene ripreso.
Straordinario stile padronanza dei mezzi tecnici
Citare Lezioni americane di Italo Calvino
Come è possibile che questi oggetti di carta stampata abbiano il potere di isolare per ore intere dalla vita reale persone d’ogni età e cultura con la sola forza delle parole?
Perché un romanzo non è altro che un movimento di parole.
Il lettore scoprirà, nel corso dei capitoli, come dal movimento di parole si generi il senso della profondità temporale e la visibilità romanzesca, tanto esterna o spaziale quanto interiore o psicologica; come si costruiscano le personalità dei personaggi e le loro voci nei dialoghi; come nasca e che cosa sia l’emozione letteraria.
[1] H. Hesse, Narciso e Boccadoro (1930), ma Hesse aveva già affrontato il tema in Amicizia (1908) dove narra la storia di due giovani, Hans Calwer ed Erwin Mühletal.
[2] B. Hooks, Tutto sull’amore, Feltrinelli, Torino 2000, p. 105.
[3] M. Atwood, Occhio di gatto, Ponte alle Grazie, Milano 1988.
[4] C. Dunne, Se stasera siamo qui, Guanda, 2008.
Elena Ferrante, Storia del nuovo cognome
II Laboratorio di lettura: l’amore
Appunti
Il laboratorio raccoglie persone che sentono profondamente il Piacere della lettura.
Il piacere della lettura nascedal desiderio e non dal dovere, chi legge con piacere percepisce quel che Roland Barthes definiva come il lasciarsi trasportare come un sughero sull’onda.
Laboratorio di lettura sull’amore?
D’altra parte l’amore di Paolo e Francesca nasce nella lettura, il libro è galeotto
E sembra che la nostra società abbia dimenticato l’amore…
“Ho l’impressione che il mondo stia voltando le spalle all’amore e ne soffro… in questo modo rischiamo di inoltrarci in un deserto dello spirito e potremmo non ritrovare mai più la via del ritorno” Bell Hooks, Tutto sull’amore.
E visto anche che siamo a Firenze, non possiamo che partire dal nostro Dante.
L’amore nella Divina Commedia è ovunque.
Procede dal basso verso l’alto, dai sensi allo spirito, in molte forme diverse: passionale e familiare, terreno e divino, disperato e soave…
È l’amore infatti a costituire la vera spinta che induce Dante a intraprendere il suo viaggio dagli inferi al cielo.
Amore, secondo la concezione del Dolce Stil Novo significa elevazione, è un sentimento che porta a migliorare se stessi, è l’“Amor, ch`al cor gentil ratto s’apprende” di cui parla Francesca.
Tante sono le presenze femminili nella Commedia. Dall’amore lussurioso delle figure confinate all’inferno si passa alla dolcezza di Pia de` Tolomei nel Purgatorio, per approdare infine nel Paradiso all`amore divino di Piccarda Donati e soprattutto di Beatrice, che Dante ha incontrato da bambino eleggendola a proprio angelo personale«dal cielo in terra a miracol mostrare».
Risset usa queste parole, “l`amore è un`emozione così forte, così essenziale, che merita che ognuno gli consacri un lavoro interno, che arrivi a fare una sorta di fiore di parole, che è la poesia, per Dante.”
Ma passiamo adesso a Elena Ferrante, Storia del nuovo cognome, anche qui l’amore è molto presente, anche nelle sue manifestazioni più irrazionali e impetuose, più torbide e più tenere.
Lila ed Elena hanno sedici anni e si sentono entrambe in un vicolo cieco. Lila si è appena sposata ma, nell’assumere il cognome del marito, ha l’impressione di aver perso se stessa. Elena è ormai una studentessa modello, ma, proprio durante il matrimonio dell’amica, ha scoperto che non sta bene né nel rione né fuori.
Le vicende dell’Amica geniale riprendono a partire da questo punto e ci trascinano nella vitalissima giovinezza delle due ragazze, dentro il ritmo travolgente con cui si tallonano, si perdono, si ritrovano. Il tutto sullo sfondo di una Napoli, di un’Italia che preparano i connotati allarmanti di oggi.
Anche in questo volume troviamo figure struggenti che vorremmo non fossero reali ma lo sono, intrecciate da una storia intensa, fatta di abbandoni e legami impetuosi, fughe e paure, passioni e relazioni drammatiche.
Molte storie e molti intrecci, quindi, ciascuna con i suoi slanci eccessivi e insensati, desiderati e temuti, sempre sul punto di naufragare in inafferrabili inquietudini, che lasciano ancora in chi legge un segno profondo.
Con la sua scrittura capace di scendere nelle pieghe più intime del cuore, Ferrante ci regala un’analisi scandalosa del potere di Amore, il dio che imprigiona e scuote ma non smette di ammaliare.
E mi viene in mente Santa Teresa D’Avila
“Come una donna e un’amante sono spinta dallo sguardo del mio amato. Dove lui è, lì voglio essere io. Quando soffre, voglio soffrire con Lui. Quale lui è, tale voglio essere: crocifissa per amore.”.
Ma, ritornando al nostro romanzo, troviamo Lenù che continua la carriera “scolastica” tra alti e bassi, sempre più consapevole della sua capacità di non accettarsi, in contrasto con il desiderio di piacere a tutti: lei è la brava ragazza studiosa e diligente, non si impone mai e riesce a nascondere e camuffare i propri reali sentimenti.
“La mia vita mi spinge a immaginarmi come sarebbe stata la sua se le fosse toccato ciò che è toccato a me, che uso avrebbe fatto della mia fortuna. E la sua vita si affaccia di continuo nella mia, nelle parole che ho pronunciato, dentro le quali c’è spesso un’eco delle sue, in quel gesto determinato che è un riadattamento di un suo gesto, in quel mio di MENO che è tale per un suo di PIU’, in quel mio di PIU’ che è la forzatura di un suo di MENO senza contare ciò che non ha mai detto ma mi ha lasciato intuire, ciò che non sapevo e che poi ho letto nei suoi quaderni.”
Soffre profondamente per la passione che travolgerà Nino, suo amore da sempre, e Lila, sua amica da sempre.
“Capii all’improvviso perché non avevo avuto Nino, perché lo aveva avuto Lila. Non ero capace di affidarmi a sentimenti veri. Non sapevo farmi trascinare oltre i limiti. Non possedevo quella potenza emotiva che aveva spinto Lila a fare tutto per godersi quella giornata e quella nottata. Restavo indietro, in attesa. Lei invece si prendeva le cose, le voleva davvero, se ne appassionava, giocava a tutto o niente, e non temeva il disprezzo, lo scherno, gli sputi, le mazzate. Lei insomma s’era meritata Nino perché riteneva che amarlo significasse provare ad averlo, non sperare che lui la volesse.”
“Storia del nuovo cognome” non si sofferma solo al racconto dei fatti della vita delle due protagoniste contornate da amore, tradimento, sofferenza, rivalità, gelosia ecc., ma entra nell’animo femminile: l’autrice cerca di raccontare le mille sfaccettature dei sentimenti, dell’emozioni e delle passioni che si provano ogni giorno affrontando la quotidianità.
Troviamo il continuo oscillare tra il carattere forte e distruttivo di Lila e quello accomodante e complesso di Lenù, questo continuo confronto ci rende il libro affascinante, irresistibile e ammaliante.
Così il racconto dei fatti deve fare i conti con filtri, rimandi, verità parziali, mezze bugie: ne nasce una estenuante misurazione del tempo passato, tutta fondata sul metro delle parole.
E a questo punto dobbiamo ricordare che cos’è l’Esattezza per Italo Calvino nelle sue meravigliose Lezione americane dedicate appunto a leggerezza esattezza rapidità visibilità molteplicità:
– un disegno dell’opera ben definito e calcolato
– un’evocazione di immagini nitide incisive memorabili icastiche
– un linguaggio il più preciso possibile come lessico e come resa delle sfumature del pensiero e dell’immaginazione.
Emozioni e sorprese, durezza e leggerezza si alternano.
E’ il rione che palpita di troppo bene e di troppo male,fino a diventare maleodorante.
Andamento ritmico del perdersi e ritrovarsi in continue opposizioni:
– tendenza alla conformità
– caparbia determinazione a prendere in mano il proprio destino.
Ma in questo volume si invertono i ruoli della buona e della cattiva:
– Lila dimostra attaccamento alle radici
– Lenù odia la madre e fugge.
Grande è la capacità di tenere le redini di una narrazione brulicante di personaggi minori, ma che contribuiscono tutti a realizzare il complicato e colorato mosaico che è culla della storia.
La peculiarità della penna della Ferrante è la corposità nella leggerezza, la molteplicità nella velocità, capace di travolgere il lettore come un fiume in piena, a tratti quasi disorientante.
Elena Ferrante, Storia di chi fugge e di resta
III Laboratorio: abbandono
Appunti
Dove eravamo rimasti? Elena ha appena pubblicato il suo primo libro ispirato all’incontro notturno in spiaggia con Donato Sarratore, avvenuto diversi anni prima, mentre Lila si è rifugiata poco lontano da Napoli insieme a suo figlio Gennaro e ad Enzo, che, innamorato da sempre di lei, le offre ospitalità e non pretende nulla in cambio.
La prima sta per sposarsi con Pietro, giovane professore di un’agiata famiglia del nord, per trasferirsi a Firenze, la seconda lavora nella fabbrica di salumi di Bruno Soccavo, una vecchia conoscenza delle due ragazze Elena e Lila si allontanano, ma finiscono sempre per ritrovarsi quasi come se l’una non potesse esistere senza l’altra, ma questa volta i ruoli si capovolgono.
Lila ha già toccato il fondo, quindi non può fare altro che risalire, mentre Elena prima sale in alto (per il matrimonio vantaggioso, la sua cultura e la pubblicazione del libro) e poi quasi perde tutto perché in realtà non ha mai cancellato il passato e il suo vecchio, ma mai accantonato, amore per Nino, che sarà destabilizzante.
In questo libro si affaccia un grande personaggio: la Politica
intesa molto diversamente da adesso: la politica accentrata sulla Polis, sull’agorà.
Pubblico-privato è un dualismo che non si perde mai v. pag. 68-74
La politica sembra essere al centro di tutto: riunioni, assemblee permanenti, è un pullulare di associazioni di ogni tipo, nascono organizzazioni capillari dei partiti, si stampano dappertutto fascicoletti e volantini in cui vengono denunciate le condizioni assurde dei lavoratori.
Movimento studentesco, movimento operaio e femminismo.
L’Italia è segnata dalle tensioni delle lotte operaie e studentesche, la cronaca è densa di bastonate, omicidi, la miscela del rosso e del nero diventa sempre più pericolosa.
Il Rione diventa anche qui un grande personaggio: se prima avevamo sentito sempre un rumore di fondo, una specie di magma sotto la trama, adesso si palesa come un’entità cinica che si espande, contrae e trasforma, rovina, ingloba uccide e resuscita.
E’ un rione di Napoli, proletario e monarchico, strozzino e cafone, zoppicante e assassino.
È quello da cui si fugge, è quello in cui si resta.
Non è detto che chi fugge abbia partita vinta e non è detto che chi resta debba finire stritolato.
Siamo negli anni Settanta, l’alleanza tra proprietari e picchiatori fascisti si scontra pure qui con l’altra compagine: lavoratori e studenti eredi di una borghesia salottiera.
Perfino l’epoca più politicizzata della storia repubblicana deve piegarsi a dinamiche di quartiere, a risentimenti familiari, alla logica stringente del rione.
Il rione ha i suoi figli, genera incastri fin dall’infanzia. Ci sono le famiglie, a loro volta nemiche o amiche a seconda di ciò che è successo in passato.
Comunisti, missini, padroni e salariati. Certo, la modernità prova a inserirsi in un tessuto con le sue logiche estranee, ma fa fatica.
I fratelli Solara a Napoli dettano legge e ampliano sempre di più il loro raggio d’azione.
E Pasquale diventa l’emblema della crisi del Partito Comunista.
Il rione si muove, sacrifica i suoi membri non perché di estrema destra o di estrema sinistra ma perché è un Urano a cui è concesso di divorare perfino le ideologie.
Le amiche
Se il pubblico, il sociale, è quello del rione, Elena che va a vivere in un’altra città diventa il prototipo della fuggitiva mentre Lila, devastata e devastante, quasi affoga nella logica del rione.
Ma Lila ha Elena. Come Elena ha Lila. E sono due legami inscindibili. Particolari. Cito le parole della stessa Ferrante:
«Avevamo mantenuto il legame tra le nostre due storie, ma per sottrazione. Eravamo diventate l’una per l’altra entità astratte, tanto che adesso io potevo inventarmela sia come un’esperta di calcolatori, sia come una guerrigliera urbana decisa e implacabile, mentre lei, con tutta probabilità, poteva vedermi sia come lo stereotipo dell’intellettuale di successo, sia come una signora colta e agiata, tutta figli, libri e conversazioni dotte col marito accademico».
Pare che Elena e Lila si stiano perdendo.
La sottrazione di cui parla Ferrante è nei fatti: da bambine sempre assieme, anche per motivi scolastici, quindi sempre più lontane.
Il rapporto si tiene vivo non più grazie alla frequentazione ma alla voce, telefonata dopo telefonata.
Nessun c’è più contatto fisico, solo la mediazione di una cornetta: quindi una sottrazione.
Poi dal sentirsi di frequente, si passa alle telefonate diradate: altra sottrazione.
E a forza di sottrarre si rischia di raggiungere lo zero, l’assenza, la fine: il vuoto insopportabile.
Si ritirano dalla sfera pubblica, si chiudono in un appartamento in una perversa alleanza, che per Elena e Lila sembra non finire.
“Io volevo diventare, anche se non avevo mai saputo cosa. Ed ero diventata, questo era certo, ma senza un oggetto, senza una vera passione, senza un’ambizione determinata».
Ecco il punto: Elena si macera su questo pensiero, non ce la fa a troncare il cordone con Lila. Elena teme che Lila diventi chissà chi e, di conseguenza, che lei stessa resti indietro.
Era voluta diventare qualcosa, scrittrice, madre, giornalista, maître à penser, ma nelle sue riflessioni, che sono sottrazioni di auto-stima, si convince di non essere nulla di queste cose.
Perché il suo era un diventare dentro la scia di Lila.
Troviamo raffinate geometrie relazionali disegnate in ambienti circoscritti (il rione, Ischia, la Normale di Pisa) e adesso ci rovescia addosso un racconto tumultuoso e incalzante, morso dalla stessa fame e dalla stessa febbre che agitano il periodo coperto dal volume, gli anni 1968-1974.
Oltre al romanzo di formazione, al quale abbiamo già accennato, qui troviamo altre quattro forme romanzesche:
il romanzo coniugale, e più tardi d’adulterio, che ha per protagonista Elena;
il romanzo-saggio della formazione di un’intellettuale (ancora Elena);
il romanzo industriale di Lila nella fabbrica di Bruno Soccavo;
il romanzo storico delle rivolte operaie e studentesche, dei primi gruppi femministi, degli scontri di piazza e del terrorismo nascente.
Il tutto sullo sfondo del clima politicamente infuocato degli anni Settanta, dominato dal desiderio di cambiamento e di giustizia, ma anche dalla violenza politica e dai deliri ideologici.
Romanzo storico commistione di storia e invenzione:
le vicende sono ambientate in una precisa epoca storica, sono presenti personaggi realmente esistiti sia di fantasia.
Rievocazione ma con ricchezza di particolari e precisione documentaria,
mescolando realtà e fantasia, l’accaduto con l’invenzione, storia privata e collettiva.
Non era facile destreggiarsi tra registri così divaricati.
Quando la faglia di genere affiora e attraversa con la sua forza atavica la faglia sociale e quella culturale, le due amiche geniali scoprono la stessa “solitudine femminile delle teste”, lo stesso “sciupio” del “tagliarsi via l’una dall’altra, senza protocolli, senza tradizione”: Lila nel tentativo di spiegare ai compagni che la servitù di un’operaia è anche servitù sessuale, Elena nel fronteggiare il risucchio della casa e della cura delle figlie che anche il suo colto marito, anche i suoi amici rivoluzionari sembrano accettare come dati di natura.
Troviamo continue oscillazioni tra piano narrativo e piano metanarrativo, con impercettibili sovrapposizioni delle voci narranti.
“Voglio che lei ci sia, scrivo per questo. Voglio che cancelli, che asciughi, che collabori alla nostra storia rovesciandoci dentro, secondo il suo estro, le cose che sa, che ha detto o che ha pensato“, scrive Elena mentre si accinge a raccontare l’esperienza operaia e politica dell’amica. E Lila, al termine di quel racconto: “Guardami finché non mi addormento. Guardami sempre, anche quando te ne vai da Napoli. Così so che mi vedi e sto tranquilla“.
Consapevoli entrambe, come la loro autrice, che per conoscere la propria storia una donna deve cercarla nello sguardo e nelle parole di un’altra.
Nino
Inseminetor: semina figli con molte, troppe donne, dice di amare tutte ma ama solo se stesso, si esprime scrivendo e pontificando, ma ama solo il suo pene in una coazione a ripetere che fa ricordare Don Giovanni, alla continua ricerca della propria identità.
Uno spacca tutto furbo e confuso, un rubacuori capace di affabulare l’universo, affascinante e spiazzanti supera sempre i limiti che spereresti non superasse
Cosa fa di mestiere: il professionista dell’abbandono.
Cattivo è fatta male anche nel sesso, dice di Lila.
Asciutto, dinoccolato, la voce alta e cordiale
“Era fatto di fantasticherie, tenermelo per sempre sarebbe stato impossibile, veniva dall’infanzia, era costruito con desideri bambini, non aveva concretezza, non si affacciava sul futuro.
Pietro invece era di adesso, massiccio, una pietra di confine. Delimitava una terra per me nuovissima, una terra di buone ragioni, governata da regole che gli derivavano dalla sua famiglia e che assegnavano senso a ogni cosa.
Vigevano grandi ideali, il culto del buon nome, questioni di principio”.
v. p.35
Pietro
Tarchiato, con la buffa matassa ingarbugliata dei capelli sulla fronte enorme, le guance grosse scorticate dal rasoio, la voce sempre bassa.
Leggere p. 79
Stile
«Memorabile soprattutto resta il ritmo di queste pagine, ora lento e ora velocissimo, che restituiscono il flusso vitale con la stessa naturalezza con cui batte il cuore o scorre il sangue nelle vene».
Paolo Mauri, “La Repubblica”
Lo stile di Elena Ferrante ha l’andamento delle grandi narrazioni popolari.
Grazie a una lingua vivissima ora lenta e densa, ora rapida e scattante, orchestra perfettamente un romanzo ricco di avventure, drammi e rovesciamenti di situazioni. Pur sempre scorrevole e coinvolgente, la lingua della scrittrice rivela una notevole forza evocatrice e una capacità di dare corpo al reale con esattezza e profondità.
Ancora le Lezioni americane di Calvino.
Elena Ferrante, L’amica geniale –
Quarto laboratorio: La violenza
Appunti
Lila ed Elena sono ormai adulte, con alle spalle delle vite piene di avvenimenti, scoperte, cadute e “rinascite”. Ambedue hanno lottato per uscire dal rione, una prigione di conformismo, violenze e legami difficili da spezzare.
Elena è diventata una scrittrice affermata, ha lasciato Napoli, si è sposata e poi separata, ha avuto due figlie e ora torna a Napoli per inseguire Nino.
Lila è rimasta, più invischiata nei rapporti familiari e camorristici, ma si è inventata una sorprendente carriera di imprenditrice informatica ed esercita più che mai il suo affascinante e carismatico ruolo di leader nascosta ma reale del rione.
Il romanzo comunque continua a essere la storia di un rapporto di amicizia, dove le due donne, veri e propri poli opposti di una stessa forza, si scontrano e s’incontrano, s’influenzano a vicenda, si allontanano e poi si ritrovano, si invidiano e si ammirano.
Attraverso le prove che la vita sottopone loro, scoprono in se stesse e nell’altra sempre nuovi aspetti delle loro personalità e del loro legame d’amicizia. Intanto la storia d’Italia e del mondo si srotola sullo sfondo e anche con questa si dovranno confrontare.
Insieme ai precedenti questo quarto volume costituisce un’opera letteraria incredibilmente feconda e ispiratrice, un’opera riconosciuta internazionalmente come una delle massime del nostro tempo.
«Nulla di ciò che leggiamo a proposito dell’opera di Elena Ferrante ci prepara alla ferocia dei suoi romanzi… Narrano una storia di donne con tale sincerità che, più che osservare una vita, sembra quasi di sperimentarla in prima persona».
The New York Times
«Elena Ferrante è una delle grandi scrittrici dei nostri tempi: voce piena di passione, ampi orizzonti e sguardo implacabile… In questi audaci, meravigliosi romanzi, la Ferrante delinea le profonde connessioni che intercorrono tra la dimensione politica e quella personale. La sua è una rappresentazione nuova del nostro attuale modo di vivere – una rappresentazione di cui abbiamo fortemente bisogno – presentata in maniera geniale, da una donna». The New York Times Sunday Book Review
«La profonda comprensione che Elena Ferrante dimostra nei confronti dei conflitti e degli stati psicologici dei suoi personaggi è impressionante… I suoi romanzi suonano così sinceri e sono scritti con tale empatia da sembrare quasi una confessione».
The Wall Street Journal
«Quando leggo vorrei non smettere mai. Mi irritano gli ostacoli – il mio lavoro, gli incontri in metropolitana – che rischiano di tenermi lontana dai suoi libri. Mi dispero quando devo separarmene (come potrò mai aspettare un anno prima di poter leggere il prossimo?). Sono preda di un desiderio vorace di continuare a leggere». The New Yorker
“La Ferrante scrive con così tanta aggressività e perturbante acutezza psicologica sulla caotica complessità delle amicizie femminili che il mondo reale scompare in lontananza quando si è immersi nella lettura delle sue opere”. Entertainment Weekly
La più azzeccata definizione della quadrilogia della Ferrante la dà, senza farlo apposta, il direttore della casa editrice che pubblica i romanzi di Elena Greco: “puro piacere di raccontare“. E anche se ci fa male, pazienza.
Sappiamo incassare perché Storia della bambina perduta è un romanzo cattivo, a tratti struggente, e parafrasando le parole della protagonista, leggere questo libro è stato “come affacciarsi su un pozzo scuro con qualche scintillio di luce“.
La vera bellezza di questa lunga e travagliata storia d’amicizia sta nell’azione vera e propria della lettura.
Leggere la Ferrante è un viaggio appassionante di cui non vorreste mai vedersi profilare all’orizzonte la destinazione finale.
Scrittura
Scritto con una prosa che è andata maturandosi nel corso dei volumi, l’autrice descrive con un realismo spietato.
Usa una prosa lucida e lineare, sempre presente a se stessa e all’io narrante (e di conseguenza al lettore) anche nel momento in cui la narrazione raggiunge l’apice della disperazione:
In serata si stabilizzò la diceria che poi prevalse. La bambina era scesa dal marciapiede correndo dietro a una palla blu. Ma proprio in quel momento stava sopraggiungendo un camion. Il camion era una massa nera color fango, avanzava a velocità sostenuta sferragliando e sobbalzando per le buche dello stradone. Nessuno aveva visto nient’altro, ma si era sentito l’urto, l’urto che passò direttamente dal racconto alla memoria di chiunque ascoltasse. Il camion non aveva fatto nessuna frenata, nemmeno un accenno, ed era sparito in fondo allo stradone insieme al corpo di Tina, alle treccine. Non era rimasta sull’asfalto nemmeno una goccia di sangue, niente niente niente. In quel niente si era perso il veicolo, si perse per sempre la bambina. (p. 313)
Violenza della natura: il Terremoto
Quando viene narrato il terremoto che scosse Napoli nel 1982 troviamo una Lila inaspettatamente disorientata, sotto shock, delirante preda della “smarginatura“, ovvero i contorni delle abitazioni, delle auto, degli oggetti e delle persone si sfilacciano, si sciolgono, ogni cosa si confonda con l’altra andando a formare una materia appiccicosa e confusa a cui non si riesce porre rimedio.
Elena e Lila sono in casa, chiacchierano. Improvvisamente, un tuono spaventoso, una tempesta invisibile che avvolge tutto, scoppia sotto i piedi, smargina ogni cosa. La terra si rivolta, manda tutto in frantumi, spazza via la casa, il rione, l’intera città, fino al «mare di fuoco sotto la crosta terrestre, e le fornaci delle stelle, e i pianeti, e gli universi, e la luce dentro la tenebra, e il silenzio nel gelo».
Solo ora Lila riesce a confessare all’amica: «Ti ricordi quanto mi faceva orrore il cielo di notte a Ischia? Voi dicevate com’è bello, ma io non potevo. Ci sentivo un sapore di uovo marcio col tuorlo giallo-verdognolo chiuso dentro l’albume e dentro il guscio, un uovo sodo che si spacca. Avevo in bocca stelle-uova avvelenate, la loro luce era di una consistenza bianca, gommosa, si attaccava ai denti insieme alla nerezza gelatinosa del cielo, la tritavo con disgusto, sentivo uno scricchiolio di granuli. Mi spiego?».
Così approdiamo alla consapevolezza che lei, Elena, è l’amica geniale, proprio grazie al terremoto.
“Io sarei stata ferma, ero la punta di compasso che è sempre fissa mentre la mina corre intorno facendo cerchi” .
Violenza della città: Napoli
Napoli ritorna potente e prepotente reclamando la protagonista, obbligandola a tornare, a confrontarsi con ciò che prima aveva abbandonato “una volta per tutte”.
Al di là delle descrizioni di Napoli in questo romanzo, che paiono davvero da mappa del tesoro, emerge una grande consapevolezza espressa a chiare lettere: «Il sogno di progresso senza limiti è in realtà un incubo pieno di ferocia e di morte».
Essere nati a Napoli serve a farlo capire.
Napoli dei suoi passati fasti: gli orti, i palazzi le ville e il porto, fino al sangue, gli scugnizzi, i pidocchi… “perché quando la bestia si risveglia affamata e ingoia i suoi figli, cosa rimane? Solo un guscio marcio, una carta sporca, e una voce, vuota, de’ criature.”
La Napoli del rione, del suo ambiente sociale degradato dove tutto è colluso con il potere e i soldi dei camorristi e niente si salva dal contatto/contagio, neppure le famiglie di appartenenza, a loro volta corrotte perché comunque legate in maniera diretta o indiretta a quei soldi e a quel potere.
Il rione – parte delle nuove periferie napoletane del dopoguerra che come un’escrescenza bubbonica continuano a espandersi – con i suoi personaggi “stanziali”, famiglie dell’infima borghesia di artigiani e bottegai di tendenze per lo più monarchico-fasciste e qualche isolato comunista, con i personaggi che si allontanano e quelli che tornano, rappresenta non solo il terreno di coltura della storia delle due ragazze, ma una sorta di mise en abymedella storia italiana della seconda metà del Novecento,
Sono anni particolarmente duri per Napoli, segnati dallo spartiacque del terremoto e dall’infittirsi di vecchi e nuovi problemi:
– l’inefficienza delle amministrazioni,
– il dilagare della droga,
– l’aggressività sempre più sfrontata dei camorristi
mentre insorgono i fermenti del movimento degli studenti e delle lotte operaie, il terrorismo.
Violenza della storia
Qui troviamo la maturità e vecchiaia di un’epoca storica e politica, sconquassata
dal fallimento del progetto comunista e dall’affermarsi del liberismo sfrenato. Ma soprattutto segnata dal naufragio delle ideologie degli anni giovanili che travolge molti nello scandalo della corruzione e delle tangenti.
E qui troviamo ancora esempi di metanarrazione
«A Firenze avevo inventato una trama attingendo a fatti della mia infanzia e della mia adolescenza con la spericolatezza che mi veniva dalla distanza. Napoli, vista da lì, era quasi un luogo della fantasia, una città come quelle dei film, che seppure le strade e i palazzi sono veri, servono solo da fondale per favole nere o rosa. Poi, da quando mi ero trasferita e vedevo Lila tutti i giorni, mi era presa una smania di realtà» (pp. 266-267).
La distanza che la protagonista interpone tra sé e la città dell’infanzia mitiga la narrazione della città stessa. Ma una volta che vi si trova di nuovo immersa, è costretta a fare i conti con la contraddizione più evidente e mai risolta: il contrasto insanabile tra natura e cultura.
È natura il Sud d’Italia e Napoli;
E’ natura il rione con la sua fisionomia brutale e selvaggia, che non fa sconti e non perdona; che nel corso degli anni Ottanta ha visto crescere il potere della Camorra di pari passo a quello droga, ovvero la nuova forma di modello imprenditoriale criminale e quindi di ricchezza.
È natura la vita violenta di quartiere in cui l’affermazione personale deve passare attraverso l’asservimento (come dimostra il personaggio di Antonio: l’unica cosa che sa fare è eseguire ordini).
Dentro il rione i rapporti interpersonali sono pura prevaricazione, come in natura; Elena perderà la verginità col padre di Nino, per vendetta.
Durante la narrazione si assiste a un continuo ribaltamento dei ruoli e dei rapporti di forza, come in una lotta per il mantenimento di un primato sociale: la gestione e il controllo del rione che vedono schierati da un lato i fratelli Solara e dall’altro Lina, assume i connotati di una lotta per la conservazione della specie.
È natura il dialetto che tutti parlano, tranne Lenù.
È natura Lila che non è mai uscita dal rione, si è fermata alla quinta elementare, e dopo aver lavorato in fabbrica si è messa in proprio facendo soldi con un’azienda di informatica.
Ed è natura il rapporto tra le due amiche, viscerale, conflittuale, simbiotico, come lo sarà quello tra Lenù e la madre, che non le ha perdonato di aver abbandonato una vita di agi per tornare nel rione.
E’ natura il rapporto tra Lenù e le figlie, educate nella cultura e che per il semplice fatto di esistere, nate a Firenze da padre noto, ricordano alla madre la distanza tra loro e il suo mondo.
Al contrario, nell’immaginario di Ferrante è cultura il resto d’Italia, la città di Firenze, che per Lenù è la città degli affetti, della vita adulta e della famiglia;
E’ cultura Genova dove abitano i genitori di Pietro, che hanno sempre accettato con riserva l’unione tra il figlio e Elena.
Sono cultura Milano e Torino, sedi delle più importanti case editrici hanno diretto il discorso culturale in Italia e con cui la protagonista lavora.
È cultura la lingua italiana che Elena parla con le figlie, col marito, conoscenti e amici.
Sono cultura la Francia e l’Europa che la accolgono grazie alla traduzione dei propri libri. Ma soprattutto, è cultura Elena davanti agli occhi dei suoi conterranei: “Adesso Lenù, ci facciamo una capatina in biblioteca e poi andiamo a mangiare. Ci vuoi accompagnare? […] così dici ai ragazzini cosa devono leggere e cosa no. Tu per noi sei un esempio […] Lenuccia una volta era come noi e guardate invece com’è adesso. […] Eh sì, chi studia diventa buono” (pp. 347-348) dice il camorrista Michele Solara. Perché è questo che la cultura produce agli occhi di chi non l’ha mai praticata: la bontà, ovvero una elevazione dello spirito a più nobili idee e quindi comportamenti.
Ma Lenù, consapevole che non sempre a idee elevate corrisponde una pratica di vita, cosa ha dovuto negoziare per essere ciò che è adesso? Come ha conquistato il proprio destino di scrittrice e di donna nata nel 1944 a Napoli? Al prezzo di uno sradicamento totale (geografico e identitario).
Violenza contro la donna
E non si tratta solo del rapporto fra Elena e Sarratore padre, c’è molto di più.
E’ il prezzo di un confronto continuo con una cultura velatamente ostile ad accogliere in modo paritario le donne nel proprio entourage; il prezzo cioè di vivere nell’ambizione e nel desiderio di essere riconosciuta prima di tutto come donna e poi come scrittrice, ma negando continuamente la propria identità:
«Parlai di come avessi osservato in mia madre e nelle altre donne, fin da ragazzina, gli aspetti più umilianti della vita familiare, della maternità, dell’asservimento ai maschi. […] Parlai di come avessi cercato da sempre, per impormi, di essere maschio nell’intelligenza – io mi sono sentita inventata dai maschi, colonizzata dalla loro immaginazione» (p. 47).
E nonostante questi sforzi, Elena continua a «sentir[si] femmina» (p. 77), percependo uno scarto intellettuale rispetto alle capacità maschili di darsi una forma sociale e pubblica determinata.
Quello a cui Elena deve fare fronte è una molteplicità di identità: donna-madre, donna-moglie, donna-amante, donna-intellettuale, e che emergono con lacerante violenza nel momento in cui la protagonista torna al suo punto di partenza: il rione, che le impone di rimettere in discussione la propria identità e di rivalutare le origini.
E allora la scrittura minuziosa della propria storia e di questa fuga-ritorno, diventa il tramite tra il mondo di natura e il mondo di cultura.
Storia della bambina perduta è l’ultimo piano di un edificio epico come la letteratura italiana non conosceva da tempo.
La violenza della vita
Si concretizza nelle sparizioni: di certezze, di valori, di amici, perfino di nomi. A un certo punto Lila, condizionata dal fatto terribile, vuole, più che sparire, evaporare. Desidera che perfino il nome, dal suo punto di vista solo una fascetta senza spessore, non sia esistito.
D’altra parte Lila non apparteneva alle mezze misure.
Era Elena, delle due, a poter diventare una scrittrice di successo, come è avvenuto, con il dubbio di limitare la propria notorietà all’epoca vissuta.
Ma era Lila quella destinata a scrivere un unico capolavoro nel corso dell’esistenza, un testo capace di sfidare i secoli. Perché quello di Lila sarebbe nato dallo scavo in profondità, da quella profondità da cui era risalita,.
Scavare fa cogliere a Lila i segreti del sottosuolo, le paludi e il sangue sui quali si è edificato un rione e un’intera città.
Un mostro cavernoso che può rapire una figlia senza restituirla.
La scrittura più potente, forse, riesce a prendere corpo solo da questa confidenza con gli anfratti lugubri del mondo e di noi stessi. Chissà se prima di perdersi definitivamente, Lila lo ha capito.
La Lila che è in noi potrebbe, chissà, provare a raccontarlo.
Opera femminista? il ciclo mostra in maniera non ideologica, ma nei fatti, la differenza tra il maschile e il femminile nei confronti del privato e del politico.
Non so citare antecedenti nella letteratura italiana di così ampio respiro, e con l’ambizione realizzata di costruire il ritratto di una intera generazione, ma la scrittura di Elena Ferrante fa pensare a quella di Doris Lessing, in particolare ai cinque romanzi dei Figli della violenza, e alla sua eroina Martha Quest, seguita da adolescente a donna adulta, davanti alle grandi battaglie del suo tempo, o anche alle sezioni di Il taccuino d’oro (apparso in italiano nel 1964).
Si mette soprattutto in scena la difficoltà di una donna per emanciparsi, per vivere una vita fatta di soddisfazioni personali e di inseguimento di quello che, lì per lì, sembra l’amore.
I sensi di colpa per i figli, che stride con la soddisfazione nell’avere successo.
Il desiderio di essere una buona madre ma anche un’intellettuale in vista.
L’impossibilità apparente di poter fare quello che si desidera nel lavoro e nell’amore essendo donna, essendo in Italia, essendo a Napoli.
Schierarsi
La forza di questo libro è soprattutto la facilità con cui gli eventi storici, anche i più confusi, si intrecciano con ciò che accade alle protagoniste. Grazie a dettagli insignificanti, ai jeans bagnati, agli arrossamenti della piccola Imma, si entra in una quotidianità che riesce ad essere anche la tua.
E viene da schierarsi, da prendere le parti dell’una piuttosto che dell’altra, senza che ci sia da qualche parte scritto chi è il buono e chi è il cattivo.
E poi sono persone o sono personaggi?