“Ossessione della sicurezza” o cultura della convivenza?
A volte domando e mi domando: come siamo diventati quelli che siamo?
Attuale paesaggio storico assai problematico: Baumann parla di liquidità, la complessità genera incertezza, insicurezza paura…
Viviamo in un’epoca di turbolenza antropologica: continui mutamenti, urgenza di negoziazioni, necessità di ridefinizioni (apre la rivista un intervento di Fabio Dei con I primitivi che ci troviamo in casa).
Ricordare la mutazione avvenuta nei nostri giovani homo sapiens, videns, zappiens (si veda Il dis-agio giovanile nella scuola del terzo millennio, Armando 2008), che si intreccia con una complessa crisi economica: il futuro non è più quello di una volta…
Ricordare il concetto di comunità: insieme di persone unite da rapporti sociali, linguistici e morali, con interessi e consuetudini comuni, da communitas derivato di communis.
E la parola non deriva da moenia, ma da cum munibus per indicare beni comuni.
Tutto ciò deve essere inserito nel concetto di cittadinanza attiva che richiama la necessità dello sviluppo di competenze chiave soprattutto per i soggetti più deboli.
Ricordare le competenze chiave richieste dall’Europa.
E qui la scuola assume un ruolo centrale (e lo ricordo spesso) che lo può esercitare con diverse azioni:
- riscoperta del senso sociale delle discipline, riesame del senso per riscoprirne l’episteme, dai profili specialistici alla formazione di base,
- sorta di esplosione delle discipline capace di intercettare e rispondere alla domanda della società, cercando di avvicinare l’offerta alla domanda,
- conoscenza delle competenze chiave richieste dall’Europa.
Educare alla cittadinanza attiva: lavorando sulla consapevolezza, l’integrazione, l’assunzione di un habitus critico, il senso di responsabilità, la cooperazione, la solidarietà.
Vannino Chiti nel suo articolo ricorda l’importanza del patto di cittadinanza.
Claudio Martini con forza ribadisce la necessità di un’integrazione consapevole degli immigrati (nelle nostre scuole il 10,5% dei bambini non è nato in Italia, quindi importanza di una Legge per un’integrazione partecipe).
Occorre riflettere sul concetto di tolleranza, molto ambiguo e pericoloso, caratteristico di chi dice “io non sono razzista, ma…”.
Se la nostra cultura ha assorbito impronte razziste, se più o meno consapevolmente abbiamo imparato il razzismo, allora è il momento di disimparare il razzismo.
La cultura non può essere un alibi per tracciare confini, intesi come linee nette e invalicabili, ma per affermare che ognuno è un crocevia di storie, di idee, di sogni e di identità.
Prevale però un’opinione pubblica ottusa e indifferente, con modi di pensare e stili di vita che fanno pensare più al nichilismo che alla partecipazione.
Il così detto buon senso comune a volte fa paura.
La scuola pubblica dovrebbe avere come compito primario la formazione civile, la scuola deve investire in democrazia, scuotere, stimolare, promuovere ideali e utopie.
Deve formare persone, individui e non masse, cives e non clientes.
Ed è un concetto che non mi stanco di ribadire.
Dobbiamo favorire una riscoperta dell’agorà, di una politica che non sia esercizio di potere o governo dell’esistente ma dialogo, dibattito, incontro di idee e di progetti.
E per politica intendo l’impegno politico-poietico quello che scaturisce dal pensiero attivo, che nasce dalla conoscenza, dalla consapevolezza, dal superamento dei confini dell’io. Significa ingaggiare una sorta di lotta con la realtà per trasformarla, passare dal dire al fare, dal valore dichiarato al valore agito, dalla conservazione all’innovazione.
E’ possibile insegnare che cosa è la democrazia, è più difficile insegnare ad essere democratici, ma ideali e virtù sono insegnabili?
Vera guida è la compartecipazione, la condivisione, ancora una volta il cum, la compassione che nel medesimo tempo è atteggiamento comprensivo ma anche sympàtheia atteggiamento soccorrevole sul piano del pensiero e sul piano dell’azione, insomma la pietas latina, non il buonismo.
Cristina Martelli nel suo intervento ricorda che l’ascolto è una virtù politica.
Questa è la strada per diventare cittadini del mondo.
Civis, il vero cittadino ha il senso dell’identità storica e culturale, ma sa allargare il compasso dell’orizzonte.
Il legame identitario con la propria cultura è così forte, che non ha paura a metterlo in gioco.
Non erge barriere, non costruisce moenia, ma costruisce rapporti e dialoghi, senza paure, costruisce solidarietà, mettendo in comune i munus.
Ricordiamo poi che “la competenza non risiede nelle risorse (conoscenze e capacità) da mobilitare, ma nella mobilitazione stessa di queste risorse… consiste nel mobilitare saperi che si sono saputi selezionare, integrare e combinare,” (G. Le Boretf).
Non si tratta di applicazione, ma di una vera e propria costruzione ad hoc, un utilizzo creativo d’un insieme di risorse e disponibilità verso nuove conoscenze.
Competenze: “regole interiorizzate… che hanno una capacità generativa”.
E le competenze hanno tre dimensioni: di natura cognitiva, operativa, affettiva.
Necessità di affermare una nuova etica pubblica: della cittadinanza, del lavoro, della solidarietà, delle varie professioni.
Etica della cittadinanza:
- coscienza dei diritti e dei doveri
- partecipazione alla vita pubblica
- ethos di convivenza, etica dell’impegno.
C’è bisogno di chi sappia elaborare e applicare pensieri attivi, di una democrazia ideale che si sostanzi nel vivere quotidiano, e sarà possibile secondo il grado di istruzione dei cittadini. Più alto è, più difficile sarà trasformarli in sudditi, più alto sarà il controllo sociale su chi governa e più incisiva l’azione della politica.
Cristha Wolf fa dire a Cassandra: occorre far avanzare una sottile striscia di futuro dentro l’oscuro presente che occupa ogni tempo.
Lo sguardo deve esser rivolto al presente o al futuro?
Bjon invita a rintracciare in noi la memoria del futuro: ogni soggetto non è nella fissità di un’astrazione, ma nel flusso delle generazioni.
Cassandra dice: c’è qualcosa di ognuno dentro di me.
E allora: ricordarsi che il nemico è in noi, come ci hanno insegnato Freud e Einstein.
Andrea Bigalli infatti ci ricorda siamo noi stessi i nostri nemici.
Imparare quindi a a guardare nell’intimo, dove anima e corpo non sono ancora divisi.
Imparare quella dimensione relazionale che sa andare oltre la parola.
Diventare barbari, saper guardare il confine da tutte le parti come dice Mell Hook.
Allora saremo capaci di abitare questo tempo senza subire il pensiero dominante e di costruire una reale dimensione del noi: dimensione relazionale, gravida di futuro.