Andrea Dami, artista ospite di questa edizione di Griseldascrittura con la sua installazione Il fiore di Leonardo (da Pisa) ci porta su un dialogo antico-contemporaneo che si fa poetica.
Dal contemporaneo, il dove, ci porta in un altrove, per invitarci poi a percorrere il cammino inverso: altrove-dove.
Costruisce un intreccio di ricordi che non cade né nel nostalgico, né nell’effimero.
L’arte si fa materia, memoria e antropologia.
Ma cosa è Arte? Eterna domanda.
Varcare le soglie fra realtà e immaginario?
L’Arte è sempre mercuriale e imprevedibile, sintesi dei contrari, astronave che porta in altri spazi e in altri tempi.
Vedere con la mente e con il cuore, prendere i segni e andare oltre, perché la ricchezza dell’arte sta proprio nella dimensione dell’oltre, sta proprio nell’alluso e nell’inespresso, spinta dalla continua sete dell’infinito.
Si fa metafora delviaggio: il segno è passato che porta nel futuro, nel riannodare i fili fra umano e divino, nel dare corpo a un sogno, ma è un viaggio particolare, quello libero e imprevedibile del vento.
Alla ricerca dell’insostenibile leggerezza dell’utopia.
Problema della contemporaneità in Toscana: peso della tradizione che rischia di soffocare il contemporaneo nonostante una forte domanda di contemporaneo.
Assistiamo da tempo a esperienze di diffusione dell’arte in luoghi extra-museali.
Land art, art in nature.
Non dovrebbe essere un’operazione sentimentale, ma un intelligente saper cogliere i segni archetipici e mitici, una sorta di risarcimento del paesaggio ferito.
Volontà di lettura attiva del territorio che si fa pensiero attivo e quindi spinta civile ed etica.
Lettura di questo ipertesto culturale che è il paesaggio, questo nostro toscano paesaggio incantatoche ricorda gli affreschi di Benozzo.
E l’intervento dell’artista?
L’intervento dell’artista va oltreil gesto di porre l’opera nell’ambiente.
Il verdenon è più semplice contesto, diventa materia e oggetto dell’opera, si fonde con l’opera, l’ambiente parla al suo artista.
L’opera si pone in naturale continuità/discontinuità con l’ambiente, entra comunque in sintonia.
Si tratta di un confronto diretto, di un dialogo fra cultura e natura.
L’ambiente non è da copiare o da riprodurre, ma è interpretato e si fa interfaccia del nuovo.
Può essere l’utile il metro e la misura di tutte le cose? Come sembra dettare la cultura di senso comune…
E allora è l’ordine, l’uniformità a contare?
Allora gli artisti fanno tutti le stesse cose per rincorrere il mercato?
E dove sta l’affascinante avventura del caleidoscopio, che gioca sul molteplice, sulla diversità, sul disordine creativo?
In questo nostro disgraziato momento storico dove ci dato vivere, la cultura viene assunta dalla comunità organizzata con la mano sinistra, con le risorse che avanzano, è il superfluo, l’accessorio e quindi secondario e marginale, il disutile.
Anzi, a volte la cultura viene percepita con sospetto, l’intellettualità viene sentita come sovversiva.
E allora che fare per noi che non ci rassegniamo, che continuiamo a credere nelle cultura e nella ricerca?
Attivare processi di riconoscenza-riconoscimento, promuovere sguardi diversi.
Cerca di stimolare il nuovo bisogno dell’essere che ricerca spazio, autorità, considerazione sociale.
Costruire ponti fra il contemporaneo e la tradizione, per esempio, ricercare la misura, esplorare l’armonia, non rinunciare mai alla ricerca della perfezione.
A proposito della tradizione, non dimentichiamo che una delle costanti e uno dei grandi temi di Leonardo da Vinci è l’armonia: non solo in musica o in poesia, ma pure come effetto sonoro delle acque, come ricerca estetica e proporzione tra gli elementi, fino alla misurazione della portata d’acqua di un fiume “con tempo armonico” o “tempo musicale” anziché “con il [battito del] polso”, o delle ore.
L’arte, la musica, il tempo: un respiro vitale.
Armonia, da hormos ‘giuntura’ indica la congiunzione di parti, in precedenza disgiunte (e quindi lontane), in un complesso equilibrato.
E quindi dialogo tradizione-contemporaneo.
Rameau nel Trattato di armonia ridotta ai suoi principi naturali (1722) scriveva: “La musica è una scienza che deve avere regole certe: queste devono essere estratte da un principio evidente, che non può essere conosciuto senza l’aiuto della matematica.”
Pavel Florenskij avanza l’ipotesi per la fondazione di una nuova matematica della discontinuità.
E mi viene in mente la cultura del puntinismo e gli schermi con pixel…
L’opera di Andrea Dami che ci saluta appena entriamo nel Palazzo Pretorio di Certaldo, ci invita quindi a riflessioni profonde.
Dami usa le cifre di Fibonacci come alfabeto dell’arte: atomi numerici che costituiscono acque, cielo…
La sua è un’arte che conosce i confini, ma li cerca e li delimita per incursioni, contaminazioni e viaggi verso l’universo infinito, la materia finita e la mente.
Le geometrie metalliche si fanno pittura ossidata che rafforza l’enigma.
Dalla allusione alle sequenze numeriche di Fibonacci (Il Leonardo da Pisa) fino alla sezione aurea e ai quattro elementi di Pitagora.
Ogni opera di Dami è essenziale: ha un tema preciso e un contesto di riferimento., ma le metafore scientifiche si fanno pittura.
Gioca coi riflessi di luce e le vibrazioni del vento: suoni e silenzi, rifrazioni.
Nelle sonorità si trovano tutti gli elementi: fruscio e tintinnio, bisbiglio e scroscio, scampanellio, crepitio, sgretolio, luccichio, balenio…
Alessandro Vezzosi afferma: “Andrea vive la scultura per farla conoscere i interagire con l’impegno civile. Sfuggendo alle definizioni e ai compromessi. In lui coesiste l’utopia dell’avanguardia, e la passione per l’archeologia che tende a rigenerare archetipi e a inventare reperti del fantastico, di fughe e ritorni, o di accelerazioni e catastrofi temporali”.
Petali pitagorici vibrano dai tam tam lucenti…
“Guizzi abbaglianti di arte e scienza, caotici e sterminati nel perimetro dell’indicibile sonante.”
Fa venire in mente i Numeri innamorati di Giacomo Balla.
Instaura un dialogo fra simmmetria-asimmetria, armonia-disarmonia, proporzione, misura, ordine e disordine, canone non canone…
E mi viene in mente Arnold Schonberg checercava di “legare colori, rumori, luci, suoni, movimenti, sguardi, gesti” nel suo Trattato di armonia.
Il famoso koan zen recita ‘conosci il suono di due mani, ma qual è il suono di una mano sola?’
Il suono di una mano sola è il gesto della scrittura che diviene partitura di un testo sonoro.
Il gesto nel silenzio sarà oggetto del Laboratorio di Massimo Mori, maestro di Tai Chi, così come la voce che del testo poetico è espressione sonora sarà oggetto del Laboratorio della poetessa Rosaria Lo Russo.
Sì. Perché Musica deriva da Muse.
Sì. Perché c’è bisogno di silenzio in epoca di rumore, baccano, frastuono…
Silenzio. Il silenzio leopardiano della creazione.